Bisognava smentire il luogo comune che un docente lavora 18 ore a settimana e fa tre mesi di ferie l’anno: è questo il motivo che ha spinto il professore Silvano Mignanti, insegnante di informatica in una scuola superiore di Civitavecchia e del “Movimento docenti romani”, a produrre uno studio sul lavoro sommerso degli insegnanti. Dallo studio è emersa anche una triste novità: l’eccessiva burocrazia che caratterizza oggi l’insegnamento in Italia.
“Oggi in media un insegnante in Italia – racconta il prof laziale durante un’intervista alla Tecnica della Scuola – sta con gli alunni più o meno il 60% del tempo della sua professione; per il resto, svolge attività aggiuntive, ma soprattutto il 13% del tempo lo occupa a realizzare documentazioni di vario tipo. Così la burocrazia diventa prevalente: al punto che non importa se ha insegnato e spiegato bene o male, ma solo se le carte da riempire sono a posto no”.
“Purtroppo – dice il docente di informatica – la burocrazia cresce di anno in anno, come quantità e anche come importanza, perché alla fin fine nell’ipotesi non eventuale di un ricorso si va a controllare se le carte sono a posto. Se poi manca una firma o una stupidaggine, quel docente risulta manchevole nel suo lavoro” rischia di essere sanzionato. “Mentre non si va a verificare se il docente ha insegnato bene o male, se ha spiegato bene o male”.
Si tratta, ha sottolineato l’insegnante, “di una mole di documenti da creare per niente. Ed investire il 13% del tempo speso a scuola per questi compiti, sembra davvero eccessivo”.
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