Home Personale Docenti stanchi e gap generazionale: il mestiere usurante che la politica ignora

Docenti stanchi e gap generazionale: il mestiere usurante che la politica ignora

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La questione dell’incolmabile gap generazionale tra studenti e docenti non è nuova. Oggi sta tornando prepotentemente – come si diceva una volta – sulle prime pagine di tutti i giornali, ma il tema è vecchio e irrisolto.

Quasi dieci anni esatti fa, precisamente il 28 gennaio 2015, un’insegnante con quarant’anni di carriera alle spalle scrisse un’accorata lettera al Corriere della Sera, all’indomani di un fatto di cronaca in cui una maestra era stata accusata di avere avuto comportamenti violenti nei confronti di alcuni suoi alunni. A proposito di quelle rare maestre che non riescono a controllarsi di fronte a classi difficili da gestire, la signora scriveva che sono insegnanti ormai alla fine della loro carriera, che hanno svolto il proprio lavoro con impegno, dedizione ed onore per tanti anni, ma che si trovano ad operare con classi molto vivaci dove il rispetto, la buona educazione e l’ubbidienza sono latitanti. Si sentono soli perché i genitori difendono a priori i propri figli, non ammettono che possano avere dei problemi, o che ci siano delle lacune educative nell’ambito familiare. La colpa è sempre e comunque della maestra (o del raro maestro), cosa difficile da accettare dopo una lunga carriera in cui si è stati apprezzati e amati.

Più avanti, una constatazione evidente: la maggior parte delle forze, che a sessanta non sono più quelle dei trent’anni, è destinata al contenimento dei problemi; dopo due ore un sessantenne è già sfinito.

E infine, a conclusione della lettera-sfogo: si deve considerare che se si vuole tenere in servizio insegnanti ormai esauriti, che hanno già dato tutto quello che avevano da dare, ai quali però si richiede sempre di più, si può anche ipotizzare che saranno sempre più numerosi quelli che sclereranno. Non è meglio lasciare che vadano in pensione?

La lettera, dicevamo, risale al 2015, ma potrebbe essere stata scritta ieri. Lì si faceva riferimento alla scuola primaria, ma le cose non sono molto diverse negli altri gradi d’istruzione. I docenti lo sanno bene, ma chi non è del mestiere immagini un po’ il caso di un docente di 67 anni – questa è a tutt’oggi l’età pensionabile, ma state tranquilli che aumenterà, eccome se aumenterà – chiamato a coinvolgere, interessare e appassionare una classe di 25 ragazzi e ragazze di 11, 12, 13 anni e via via salendo fino al liceo. Un’ora dopo l’altra, certi giorni anche per cinque ora di fila. Non dimentichiamo che il divario d’età porta anche con sé un gap di linguaggio e di riferimenti e impliciti culturali che generano vari livelli di incomunicabilità.

Questo lavoratore accumulerà lo stesso stress di altri dipendenti dello Stato ai quali non sono affidati bambini e adolescenti da educare ma pratiche e documenti? Molto di più, non c’è dubbio. E non capiamo come possa ancora essere tanto radicato il cliché delle 18 ore settimanali che farebbero del docente un privilegiato. A proposito, ecco uno dei tanti commenti alla lettera del 2015: andare a casa prima (18 ore sono troppe), andare in pensione prima e magari chissà cos’altro. Mica solo gli insegnanti si stancano. Andate a cercare un altro lavoro se non vi piace.

Al di là dei giudizi espressi da chi di scuola ne capisce poco perché poco, forse, l’ha frequentata, è tempo che la professione docente venga dichiarata professione intellettuale usurante. Perché questo è, anche se nessuno dei governi che nel tempo si sono succeduti se ne è fatto ancora carico.