Il mestiere del docente risulta ancora una volta essere uno dei più stressanti. A dirlo, come riporta La Repubblica, è l’Ocse in uno dei suoi ultimi rapporti che intende “indagare i livelli dello stress legato al lavoro degli insegnanti”.
“Con molti Paesi che lottano per aumentare l’attrattiva della professione docente – scrivono da Parigi – è importante comprendere meglio le fonti dello stress degli insegnanti”. Lo studio prende in considerazione gli insegnanti della scuola secondaria inferiore. “Per indagare – continua lo studio – se i fattori di stress variano in base al contesto socio-economico degli studenti”.
In Italia, “mantenere la disciplina in classe” è fonte di stress per il 43% dei docenti di scuola media. Percentuale che sale di un paio di punti nelle scuole svantaggiate. In quartieri a rischio. Nel Regno Unito la percentuale scende al 30% mentre in Francia sale al 59%.
L’altra fonte di tensione fisica e mentale riguarda i genitori le cui preoccupazioni e gli attacchi creano problemi al 39% dei docenti italiani. In 11 paesi europei su 18 le cose, in questo senso, vanno meglio che in Italia. Il 41% dei prof, poi, ammette che fa fatica a “stare al passo con le mutevoli esigenze”.
C’è poi la responsabilità di ciò che accade in classe. A stressarsi di questo aspetto un docente italiano su tre. Anche se nella quasi totalità dei paesi UE questo aspetto è al centro delle preoccupazioni di un numero maggiore di docenti. E c’è poi il carico di lavoro. Un insegnante italiano su cinque si lamenta di svolgere troppe lezioni in classe, più di uno su tre non sopporta l’eccessivo carico di lavoro amministrativo e un quarto dei docenti interpellati lavora troppo anche a casa per la preparazione delle lezioni. Ma all’estero il carico di lavoro domestico sembra proprio maggiore.
C’è poi l’aspetto legato agli alunni con disabilità, con disturbi dell’apprendimento (Dsa) e con bisogni educativi speciali (Bes). Quattro docenti italiani su dieci incontrano difficoltà ad adattare le loro lezioni per questi alunni. Nel Regno Unito e in Spagna, i docenti si lamentano meno di questo aspetto. In Francia e Portogallo si stressano di più.
Il rapporto sfata l’idea diffusa per cui insegnare in una scuola svantaggiata sia più pesante che farlo in una scuola di un quartiere senza apparenti problemi sociali ed economici.
In un articolo pubblicato su Lab Parlamento lo scorso ottobre Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto di burnout, ha affrontato un tema delicato, quello dei suicidi degli insegnanti, facendo dei raffronti tra l’Italia e gli altri Paesi del mondo, analizzando la questione e ponendo delle riflessioni: “Già nel 2005 e nel 2009, Francia e Regno Unito avevano dimostrato, dati alla mano, che la categoria professionale maggiormente esposta al rischio suicidario era quella dei docenti. Un dato sorprendente se si pensa ai contestuali stereotipi che gravano sugli insegnanti e di cui si nutre l’opinione pubblica (“lavorano mezza giornata e fruiscono di tre mesi di vacanza all’anno”).
L’usura psicofisica tra gli insegnanti, come dimostra la letteratura scientifica, è una questione universale non legata al diverso sistema scolastico adottato dai singoli Paesi. Tuttavia, questo grave allarme non ha suscitato particolari reazioni tra gli stessi docenti fin quando i recenti suicidi di un maestro di 57 anni in Francia e una giovane insegnante di scuola primaria della Corea del Sud hanno risvegliato dal torpore l’intera categoria, portando in piazza la protesta per rivendicare garanzie per il lavoro. La risposta delle istituzioni dei due Paesi non si è fatta attendere, andando finalmente incontro alle richieste dei docenti.
Ma in Italia cosa succede? Purtroppo, non sono disponibili dati nazionali sui suicidi stratificati per professione. Tuttavia, è possibile raccogliere elementi utili a fornire una dimensione del fenomeno suicidario italiano tra i docenti, ricorrendo agli articoli di cronaca dei quotidiani locali e nazionali.
Nell’arco del decennio 2014-2023 sono stati osservati 100 suicidi con una media esatta di 10 suicidi all’anno (uno al mese se escludiamo luglio e agosto). Un picco anomalo (circa un quarto del totale degli eventi) è stato registrato nel 2017 senza alcuna spiegazione apparente, mentre negli altri anni si sono avuti dai 5 agli 11 suicidi per anno. La ripartizione geografica degli eventi vede in prima posizione il Sud e Isole (58), seguita dal Nord (23) e, in terza battuta, dal Centro (19)”.
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