La sentenza n. 3875/09 della Corte di cassazione definisce il mobbing nel seguente modo: “Una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità”.
Nel mondo del lavoro il mobbing può essere verticale o orizzontale: nel primo caso le vessazioni vengono da un superiore (datore di lavoro o dirigente) nel secondo da un collega. Secondo il modello di Heinz Leymann le fasi del mobbing sono 4:
- Conflitto quotidiano: quotidianamente si verificano conflitti, nascosti da un’apparente normalità
- Inizio del mobbing: la vittima viene attaccata dal punto di vista psicologico, delle relazioni sociali, della comunicazione, della professione e della salute.
- Abusi: trasferimenti, richiami ingiustificati, demansionamento.
- Esclusione: la vittima si esclude dal mondo del lavoro o viene esclusa a causa di malattie psicosomatiche, sintomi ossessivi, dimissioni, prepensionamento o licenziamento.