I lettori ci scrivono

Docenti tutor ed orientatori alle prese con la riforma della formazione scolastica

In un’intervista esclusiva a Il Corriere della Sera pubblicata il 30 marzo u.s. il ministro Valditara ha annunciato il proprio piano per il miglioramento della formazione scolastica. Alla base di tutto si pongono nuove figure di docenti particolarmente responsabilizzati e formati. Si tratta di docenti tutor e orientatori i quali, dopo un necessario corso di formazione che prevede anche gli aspetti psicologici e pedagogici dell’insegnamento, con esame finale, dovranno predisporre, d’intesa con i colleghi del consiglio di classe, un percorso personalizzato per quella percentuale di ragazzi in difficoltà, presenti mediamente in ogni classe. Per far questo verrebbero remunerati con un budget annuale che va da 2.859 a 4.675 euro all’anno, in base al numero di studenti di cui si occuperanno. I corsi di recupero, tenuti da insegnanti delle discipline nelle quali manifestano carenze, verranno svolti in orario pomeridiano. Per fare tutto questo verranno impiegati parecchi soldini!

Ma non si capisce bene dove sta la novità. In pratica i ragazzi che vanno male li si manda a fare il corso di recupero pomeridiano.  Non è molto chiaro, in particolare, il lavoro del tutor. Sappiamo infatti che se un ragazzo va male in numerose discipline di indirizzo, perché ha un forte disagio per problematiche familiari o personali o di altro tipo, vengono attivate tutte le procedure previste dalla normativa riguardante i BES (o addirittura i DSA, nei casi specifici). Il consiglio di classe, quindi, è obbligato a modulare opportunamente la propria azione didattico-formativa al fine di garantire il successo formativo dell’alunno con difficoltà. Se invece il ragazzo presenta un quadro scolastico negativo perché non vuole semplicemente impegnarsi, in quanto preso da differenti interessi, cosa può fare il docente tutor per motivarlo a tal punto da fargli venire la voglia di studiare con profitto? Non dovrebbe essere compito dell’insegnante della singola disciplina trovare un sistema per motivare il ragazzo poco interessato? E se non ci riesce questo insegnante come può riuscirci il tutor? Certo è che se vengono istituite queste nuove figure di potere all’interno della Scuola e che vengono pagate appositamente per ottenere l’indispensabile successo “formativo” tale successo non potrà non esserci! Tutti i ragazzi con iniziali difficoltà, dopo aver fatto il corso di recupero, saranno certamente tutti promossi con buoni voti proprio in quelle discipline quasi mai studiate.

Nessun insegnate mancherà, di certo, la missione del recupero, se poi dovrà rendere conto al docente tutor ed al dirigente dell’eventuale insuccesso dell’azione di recupero medesima! Dove sta la differenza con quello che accade oggi? Anche ora si fa così: dopo il corso di recupero è certo che gli alunni hanno recuperato! Ci interessano quindi solo le apparenze? Inoltre, dico, non sembra spropositata questa particolare attenzione agli aspetti psicologici dell’azione didattico-formativa che viene imposta ai docenti in toto, compreso la imminente figura del docente tutor? Sembra che i nostri ragazzi siano tutti malati solo perché non vogliono studiare! Questa eccessiva cura, questo “mammismo”, aiuta davvero i nostri giovani ad affrontare poi le difficoltà della vita?

Ma soprattutto ci stiamo veramente preoccupando della reale formazione scolastica di questi ragazzi o li stiamo prendendo in giro? Li stiamo educando a diventare dei professionisti o degli assistiti a vita? La raggiunta formazione si misura sulla base di cosa sanno realmente e cosa sanno fare i nostri studenti. I nostri ragazzi hanno bisogno di essere posti difronte alle difficoltà e non trattati come esseri incapaci di reagire alle difficoltà medesime e senza resilienza. Devono svegliarsi! Mi domando cosa vogliono realmente fare della Scuola i governi di ogni tempo. Non serve spendere soldi in varie iniziative che non puntano al cuore del vero problema.  Per risolvere il vero problema della formazione scolastica serve recuperare la credibilità degli insegnanti.

Insegnanti che anziché farli diventare “liquidi”, cioè che insegnano divertendo perché le conoscenze non servono più e le competenze possono essere acquisite anche facendo a meno delle conoscenze, bisogna farli ritornare “solidi” restituendo loro fiducia nella loro capacità di valutare oggettivamente l’alunno. Alunni che devono imparare, per prima cosa, ad impegnarsi costantemente, nella consapevolezza che potrebbe attenderli l’insuccesso scolastico che non significa insuccesso formativo ma, evidentemente, inevitabile momento di riflessione necessaria a reindirizzare il percorso formativo medesimo! L’utenza e la società nel suo complesso non le si fa contente garantendo la promozione ma formando realmente i loro figli.

Giuseppe D’Angelo

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