Assieme al docente tutor da affiancare agli studenti più rischio abbandono scolastico, arriverà anche l’insegnante-tutore per gli allievi più bravi. Sembra un controsenso, ma non lo è. Perché l’attuale ministro dell’Istruzione, non a caso anche del Merito, l’ha detto fin dal primo giorno in cui si è insediato: “aver coniugato Istruzione e merito è un messaggio politico chiaro“, aveva dichiarato il professore Giuseppe Valditara a fine ottobre nel giorno della sia nomina a capo del dicastero bianco di Viale Trastevere.
A due mesi e mezzo di distanza, in una intervista al Messaggero, il ministro Giuseppe Valditara, che ha avuto un ruolo attivo nella nascita della Lega Nord di Umberto Bossi, ma anche nella riforma Tremonti-Gelmini che tanti tagli prodotti a Scuola e Università, ha detto che da settembre 2023 “verrà introdotta la figura del docente tutor per ogni gruppo classe: il docente – ha spiegato – dovrà avere una formazione particolare, e anche essere pagato di più, lavorando in team con gli altri insegnanti” dovrà seguire in particolare quei ragazzi con maggiori difficoltà di apprendimento ma anche quelli molto bravi che magari in classe si annoiano e che hanno bisogno di accelerare.
L’altro passo, ha detto il numero uno del ministero dell’Istruzione, è che il tutor supporterà anche l’orientamento tra un corso di studi e l’altro, perché occorre “dare consigli ai giovani e alle famiglie sulle scelte più opportune sulla prosecuzione degli studi”.
La figura del tutor, ha confermato, entrerà in vigore “dal prossimo anno scolastico, nel contempo avvieremo gradualmente una formazione specifica”.
“La grande sfida – ha aggiunto Valditara – è combattere la dispersione scolastica. In Italia il 13,2% dei ragazzi tra 15 e 19 anni non studia e non lavora. Portare questo dato sotto al 10% entro qualche anno sarebbe un buon punto di partenza. La strada è quella tracciata, con tutor e orientamento”.
Sulla strategia del professore Valditara si può essere anche d’accordo: il nostro Paese ha bisogno di una svolta per abbattere la dispersione, ancora troppo alta.
Quello che non si comprende è l’accostamento del tutoraggio con i giovani che a scuola risultano più brillanti: il rischio concreto, sostiene il ministro dell’Istruzione, è che sui banchi di scuola si annoino. E per evitare che si “appiattiscano”, che i loro talenti rimangano inespressi, per loro c’è l’esigenza di accelerare con programmi ad hoc.
Si conferma, quindi, la decisione di creare una scuola e un modello d’Istruzione davvero più meritocratica.
Rimane un dubbio: tra le mille emergenze della scuola, siamo sicuri che il supporto agli studenti più bravi risulti prioritario? Non dovrebbero avere la precedenza gli alunni più con meno risorse, quelli con limiti di apprendimento, gli allievi con disabilità, i Dsa, i Bes e i tanti che stentano ad arrivare alla sufficienza? I dati Ocse e Invalsi ci dicono che sono oltre la metà dei giovani non raggiunge le competenze minime in Italiano, Matematica e Inglese. I tutor non dovrebbero essere dedicati innanzitutto a loro?
Ma trattandosi di un numero altissimo di allievi, oltre la metà dei componenti di ogni classe, quindi almeno quattro milioni di giovani, non è possibile pensare che un tutor possa seguirli tutti. Anche perché attualmente una classe è composta tra i 20 e i 25 alunni, quindi il tutor ne dovrebbe seguire in media tra i 10 e i 15.
E a alla lista dei più bisognosi, a sentire Valditara, bisogna poi aggiungere gli alunni più bravi.
Ma se i tre quarti della classe hanno bisogno del tutor, non sarebbe allora più conveniente ridurre il numero di iscritti per classe e tornare alle compresenze pre-Gelmini, a partire dalla primaria? A quel punto, il supporto didattico si concretizzerebbe per tutti gli alunni, nessuno escluso, per dirla alla don Milani. Il merito, forse, potrebbe aspettare un giro.
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