Il mese di maggio 2015 sarà ricordato dal mondo della scuola per lo sciopero che coinvolse compatti migliaia di docenti, un’adesione fortissima contro il disegno di legge della “Buona Scuola”: tra i motivi principali della protesta la famigerata “chiamata diretta” e, soprattutto, la stabilizzazione dei precari storici su scala nazionale e non provinciale laddove, come si chiedeva a gran voce, una conversione dell’organico di fatto in organico di diritto avrebbe permesso di superare questa criticità in modo del tutto naturale.
L’eco della protesta fu tale che l’allora Premier Renzi pensò di rimandare di un anno la riforma salvo poi ripensarci nuovamente.
Uno sciopero molto forte che unì l’intera classe docenti. Per l’ultima volta. Eh sì, perché dopo l’adesione significativa al piano di assunzione nazionale (per molti un’occasione d’oro), la classe degli insegnanti, importante bacino di voti e di consensi politici, non sarà più la stessa.
Abiurando parte della riforma e chiedendo a viva voce di poter rientrare (o permanere) nelle provincia di appartenenza delle GaE, nacquero importanti gruppi al riguardo quali il “Coordinamento Docenti Fase C” e “8000 esiliati (?) fase B”, ai quali si opposero da subito gli “Immobilizzati” storici (loro sì costretti a rispettare determinati vincoli di mobilità) ed il “Coordinamento nazionale Docenti GaE” che ribadiva, semplicemente e coerentemente, il rispetto dei “patti” che hanno condotto ad una determinata scelta di vita e professionale.
Senza entrare nel merito della questione, il dato che emerge significativo è lo sgretolamento della categoria docenti in tanti gruppetti, con conseguente perdita in termini di compattezza iniziale.
Che fosse una strategia mirata? Che tutto fosse programmato a monte? Già, perché dal “Dividi et impera” di Filippo il Macedone passando per il “Diviser pour régner” di Luigi XI fino a giungere ai tempi nostri, la disgregazione di qualsiasi forma di opposizione del popolo ha sempre permesso ai governi di imporre, nella distrazione volutamente generata, determinate riforme. In quest’ottica, può essere inquadrato anche il bonus premiale: il corpo docente è sinonimo di collegialità, perché mettere in competizione i colleghi?
E così, mentre le varie categorie di insegnanti litigavano accampando pretese legittime o infondate, la “chiamata diretta” passava praticamente in silenzio, così come l’accentramento dei poteri nelle mani del dirigente scolastico.
Non solo: la scuola si è ormai avviata verso un processo di “aziendalizzazione”: il ricorso “massiccio” ai progetti sembra, in certi casi, più finalizzata alla spettacolarizzazione del proprio istituto piuttosto che al soddisfacimento di un reale bisogno degli allievi.
Assolutamente nulla in contrario a questo tipo di attività extracurricolari a patto, però, che esse siano mirate, in numero limitato e con finalità connesse al diploma finale che gli allievi andranno a conseguire; inoltre, esse dovrebbero essere svolte preferibilmente in orario pomeridiano o, se svolte in orario mattutino, non dovrebbero sottrarre ore di lavoro sempre allo stesso docente, ma occorrerebbe un’opportuna rotazione dei giorni e delle ore.
Detto ciò, auspico una ri-compattazione della categoria degli insegnanti puntando su un aspetto che troppo spesso viene usato come spot ma che di fatto viene trascurato: “le competenze di base”.
Soprattutto nel primo biennio delle superiori, occorrerebbe dedicare tempo ed impegno per costruire la “cassetta degli attrezzi” che gli allievi porteranno con sé per il loro prosieguo degli studi; si dice che la scuola e i ragazzi di oggi siano cambiati ed i progetti hanno il compito di stimolarli al successo scolastico; è indubbiamente vero che i notevoli cambiamenti socio-culturali hanno avuto forti ripercussioni sull’educazione, sul comportamento dei giovani e sul ruolo dell’istruzione, ma gli stimoli possono essere forniti anche attraverso una didattica di classe laboratoriale, interattiva ed originale come la “flipped classroom”, ad esempio.
Con quest’articolo, mi auguro che i colleghi riflettano sull’importanza della compattezza nel nostro lavoro, individuando nelle imprescindibili competenze di base un collante eccezionale.
Solo in questo modo, a mio avviso, si possono gettare le basi per lo sviluppo ed il potenziamento delle cosiddette “skills life”, mattoni fondamentali per la crescita e la formazione del cittadino pensante ed operante.
Pertanto, cari colleghi, superiamo le divisioni ed uniamoci per garantire una società migliore, ne siamo responsabili.
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