Secondo la classifica fatta da Reporters sans Frontieres, la libertà di stampa in Italia sta peggiorando, tanto che ci vede scendere dal 73° posto del 2015 al 77° (su un totale di 180 Paesi) del 2016.
In pratica il nostro bel Paese è agli ultimi posti in Europa, seguita soltanto da Cipro, Grecia e Bulgaria.
Eppure la libertà di stampa è un pilastro della democrazia proprio perché essa si regge sulla informazione ai cittadini che solo conoscendo la realtà, nella pluralità delle notizie, possono scegliere non solo per chi votare, e quindi chi eleggere per rappresentarli, ma anche i loro rapporti con la società medesima.
Per cui quando è messa a rischio da intimidazioni, violenze o censure, è la libertà stessa delle persone e delle istituzioni a essere messa a repentaglio.
Il nostro Paese, fra le Nazioni dell’occidente europeo, è quello dove negli anni sono caduti il più altro numero di giornalisti per mano delle mafie e del terrorismo: BEPPE ALFANO, CARLO CASALEGNO, COSIMO CRISTINA, MAURO DE MAURO, GIUSEPPE FAVA, MARIO FRANCESE, PEPPINO IMPASTATO, MAURO ROSTAGNO, GIANCARLO SIANI, GIOVANNI SPAMPINATO, WALTER TOBAGI.
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E non si possono dimenticare i giornalisti italiani uccisi all’estero in circostanze diverse, come ILARIA ALPI e MIRAN HROVATIN, per citarne alcuni. Se le nuove generazioni riusciranno a non abituarsi al silenzio lo dovranno a queste persone, e ai tanti che hanno imparato a fare il mestiere di giornalista anche ispirandosi a chi oggi non è più con noi.
È questo il significato profondo dell’International Press Freedom Day promosso dell’UNESCO e celebrato il 3 maggio di ogni anno: ricordare queste storie e tenerne memoria, facendole conoscere soprattutto ai giovani, ma non solo.
Negli ultimi 10 anni, IN ITALIA, si contano quasi tremila tra giornalisti, blogger, fotoreporter e videoreporter vittime di intimidazioni e abusi. Molti non hanno neppure trent’anni, ma coltivano il “vizio” di scrivere spesso assai meglio di chi siede dietro scrivanie prestigiose. Più indagano, più raccontano, e più sono bersaglio di intimidazioni, minacce, censure. Sono ovunque ci sia una notizia, in Italia e in giro per il mondo.
Uno di loro lo scorso 3 febbraio è stato trovato morto con il corpo mutilato e mezzo nudo in un fosso lungo una strada alla periferia del Cairo, in Egitto. Si chiamava GIULIO REGENI, era nato a Trieste e si trovava in Egitto per svolgere un’inchiesta sui sindacati indipendenti egiziani.
Ad oggi non sappiamo nulla sul perché della sua morte e di tanta violenza nei suoi confronti. Aveva 28 anni.
Oggi i giornalisti, spesso quelli “free lance”, vivono in condizioni economiche piuttosto precarie e spesso sono soggetti ad intimidazione – violenze da parte di chi vorrebbe reprimerne la voce e preferirebbe continuare a tramare nel buio e nell’omertà: nel 2015, come segnala il dossier Rsf (Reporter Senza Frontiera) sono 110 i reporter uccisi, 7 tra cameramen, fonici e tecnici e 27 i citizen journalist; un dato in aumento rispetto al 2014 (66 giornalisti, 11 collaboratori non giornalisti dei media e 19 citizen journalists). La civiltà di una nazione si misura anche dalla presenza di giornalisti liberi, intellettualmente onesti e indipendenti.
L’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo a frontiere.
In nome di questi principi, il Coordinamento Nazionale docenti della disciplina dei Diritti Umani invita le scuole di ogni ordine e grado a promuovere tra gli studenti il concetto di libertà di opinione e sollecitarli ad essere critici, confrontare le informazioni e le fonti d’emissioni delle stesse, attraverso laboratori di lettura e l’analisi dei fatti riportati dalla stampa in classe.
Nella giornata del 3 maggio, un pensiero va rivolto ai circa 28 giornalisti italiani uccisi nel mondo e alla redazione di Charlie Hebdo, decimata durante l’attacco terroristico del 7 gennaio 2015.
Giornalisti italiani uccisi
Cosimo Cristina (1935-1960), Termini Imerese (Palermo)
Mauro De Mauro (1921-1970), Palermo
Giovanni Spampinato (1946-1972), Ragusa
Giuseppe Impastato (1948-1978), Cinisi
Mario Francese (1925-1979), Palermo
Giuseppe Fava (1925-1984), Catania
Mauro Rostagno (1942-1988), Lenzi di Valderice (Trapani)
Giuseppe Alfano (1945-1993), Barcellona Pozzo di Gotto (Messina)
Giancarlo Siani (1959-1985)
Carlo Casalegno (1916-1977)
Walter Tobagi (1947-1980)
Italo Toni e Graziella De Palo, scomparsi in Libano il 2 settembre 1980
Almerigo Grilz, (1953-1987) morto in Mozambico
Guido Puletti (1993), Bosnia
Marco Luchetta, (1952-1994), Mostar (Bosnia) insieme agli operatori della Rai di Trieste Alessandro Ota e Dario D’Angelo
Ilaria Alpi (1961-1994), Mogadiscio, Somalia, con l’operatore Milan Hrovatin
Gabriel Gruener (1963-1999), Brazda, Macedonia
Antonio Russo, (1960-2000), Tiblisi, Georgia
Maria Grazia Cutuli (1962-2001), Afghanistan, sulla strada che da Jalalabad porta a Kabul. Insieme a lei uccisi: l’inviato di El Mundo Julio Fuentes e due corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari
Raffaele Ciriello (1959-2002), Ramallah, Cisgiordania
Enzo Baldoni (1948–2004), Najaf, Iraq
Vittorio Arrigoni (1975-15 aprile 2011), Gaza
Andrea Rocchelli (1983-24 maggio 2014) , Slavianks, Ucraina
Simone Camilli (1979-13 agosto 2014) Gaza