Perciò, stamme a ssenti… nun fa’ ‘o restivo,/ suppuorteme vicino – che te ‘mporta? /Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:/nuje simmo serie… appartenimmo â morte!».
Il “signore di Napoli” (sì, perché a volte sembra che il Regno della due Sicilie esista ancora), scusate, il “signor Prefetto” di Napoli, come ha fatto a non ricordarsi dei versi su citati de «La livella» del grande Totò quando ha pubblicamente rimproverato un “signor prete” quale Don Maurizio Patriciello per aver chiamato solamente “signora” il Prefetto di Caserta? Per dirla sempre con “il principe della risata” che principe era di stirpe, di fatto e nel mestiere, forse la risposta è che «signori si nasce»!
Ma nel napoletano restiamo perché quella scena, soprattutto la parte del Prefetto, è stata degna di una vera e propria sceneggiata napoletana; peccato che è tutto vero e che si affrontavano problemi molto importanti, tanto fondamentali che di tutto il discorso di Don Patriciello il signor Prefetto è stato colpito dalla mancanza di un degno attributo per la collega casertana. Che colpo di scena! In una sceneggiata non avrebbero saputo fare di meglio. Ma citazioni più alte possiamo fare per affrontare una questione di tal lizza. Infatti quanto abbiamo visto avrebbe potuto essere persino un capitole de “I promessi sposi” e chissà quanto l’arte del Manzoni avrebbe prodotto ispirato da cotale povera realtà.
Quale lettore del romanzo non ha pensato subito ai dialoghi tra Renzo e il dottor Azzecca-Garbugli, a personaggi come il Conte Zio, il gran cancelliere Ferrer, il conte Attilio, il podestà, tutti per dirla con l’Autore nell’Introduzione «gl’illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e d’Allori, rapiscono solo che le sole spoglie più sfarzose e brillanti, imbalsamando co’ loro inchiostri le Imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggj, e trapontando coll’ago finissimo dell’ingegno i fili d’oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose». Anche il Parini non sarebbe stato da meno nel tratteggiare la scena in endecasillabi sciolti, esortando il suo “giovin signore” annoiato, già anche lui “signore” che da adulto potrebbe anche diventare Prefetto o forse lo è già diventato.
L’elenco potrebbe diventare lungo passando dalla satira latina, all’epigramma, dalla commedia antica a Goldoni, ma chissà Dante cosa avrebbe scritto in merito e in quale dei regni ultraterreni? La domanda è per “i miei venticinque studenti”, loro che – soprattutto al primo anno – ogni tanto mi chiamano professoressa e ci facciamo tutti una risata; loro che si alzano per salutare quando in classe entra il Preside, il Prof, e la Signora che fa le pulizie; loro che sul social network hanno commentato il video dicendo “che brutta scena”! Ma ancora più triste, aggiungo io, è il consesso che circonda il signor e la signora Prefetti: autorità varie che non dicono una parola, che non hanno il coraggio di affermare “che il re è nudo”, che guardano la scena obbedienti come attorno ad un tavolo di manzoniana memoria.
Speriamo solo che non facciano così anche di fronte ai gravissimi problemi di quella gente e di quel territorio, speriamo che si ricordino che “onore e rispetto” sono parole molto legate alla criminalità organizzata. Speriamo che si ricordino che «’A morte ‘o ssaje ched”e?… è una livella».
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