Oggi, 26 giugno, ricorre il 56esimo anniversario della morte di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, scomparso a Firenze nel 1967 a soli 44 anni solo un mese dopo la pubblicazione di “Lettera a una professoressa”, celebre scritto che ha visto la luce nel maggio di quell’anno.
Quest’anno, tra l’altro, ricorre il 100esimo anniversario dalla sua nascita, caduto lo scorso 27 maggio, da noi celebrato con varie iniziative, tra cui una diretta che ha visto protagonisti Paolo Landi, ex allievo di Don Milani, e il pedagogista Enrico Bottero.
Quale lezione ha lasciato Don Milani? Il nostro vicedirettore, Reginaldo Palermo, ha intervistato la storica e scrittrice Vanessa Roghi per analizzare il concetto di educazione linguistica così come era declinato dal Priore di Barbiana.
La studiosa parla di Don Milani usando il binomio “analfabetismo e democrazia”: “Non possiamo prendere Don Milani come un esempio, una sorta di Bignami a cui guardare per fare scuola oggi. Malgrado sia una figura legata al suo tempo, con le sue contraddizioni, c’è la forza di alcuni problemi che pone”, ha detto.
La Roghi parla di “dominio della parola”: “Don Milani si è reso conto che nessuno può essere un buon cristiano se non sa intendere il Vangelo. Prima dell’educazione cristiana bisogna occuparsi dell’educazione linguistica. Per Don Milani i cristiani dovevano essere persone decenti”.
“Un’altra cosa che dice è che la parola è come una soglia, un luogo in cui si può accogliere ma anche tenere fuori le persone. Per il Priore è sempre fatta per accogliere, ma deve essere una scelta”, ha aggiunto.
In occasione del Centenario della nascita di Don Milani, partecipando a una cerimonia che si è tenuta a Barbiana dove fondò la scuola, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato alcune dichiarazioni: “Don Lorenzo Milani è stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi”.
E ha continuato: “Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano fra noi ma, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: fare crescere le persone, fare crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia. Don Lorenzo avrebbe sorriso di una sua rappresentazione come antimoderno se non medievale. O, all’opposto, di una sua raffigurazione come antesignano di successive contestazioni dirette allo smantellamento di un modello scolastico ritenuto autoritario”.
Nelle parole del presidente anche un riferimento al merito: “Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto e per non far perdere all’Italia talenti preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito”.
“I ragazzi di Don Milani non possedevano le parole. Per questo venivano esclusi. E se non le avessero conquistate, sarebbero rimasti esclusi per sempre. Guadagnare le parole – ha proseguito il Capo dello Stato – voleva dire incamminarsi su una strada di liberazione. Ma chiamava anche a far crescere la propria coscienza di cittadino; sentirsi, allo stesso tempo, titolare di diritti e responsabile della comunità in cui si vive”.
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