Il tema è caldo e sta facendo discutere non poco. La trovata di un istituto di Padova che istituisce un premio di 100 euro da destinare agli studenti che abbiano una media di almeno nove decimi, almeno un merito ce l’ha: ci ricorda che il mese prossimo si celebra il centenario della nascita di Don Milani, che di certo – almeno così riteniamo – non avrebbe approvato la decisione di premiare così i più bravi. Il bonus di 100 euro sarebbe, per lui, un classico esempio di “ospedale che cura i sani e respinge i malati”, la metafora divenuta celebre con cui Don Milani illustrava la classica scuola borghese che scartava gli alunni difficili e promuoveva chi, paradossalmente, non avrebbe nemmeno avuto bisogno di andare a scuola perché proveniente da famiglie colte e benestanti. Il fondatore della scuola di Barbiana che accoglieva gli “scarti” della scuola pubblica, tutti i bambini in situazione di handicap socio-culturale, non avrebbe potuto sopportare un meccanismo – nato certamente con le migliori intenzioni – che genera competizione tra i più bravi e relega sempre di più gli ultimi al rango di “somari”.
Don Milani, al contrario, sarebbe di certo stato al fianco di Giuseppe Bagni e Rosalba Conserva, autori del saggio “Insegnare a chi non vuole imparare”, che si interrogano tra l’altro sul fallimento di ogni bocciatura, sul senso profondo di ogni “non vuole studiare”, la frase classica che talvolta i docenti impiegano durante i ricevimenti per sintetizzare l’approccio negativo di un alunno che rifiuta il dialogo educativo. O che lo complica. Come lo complicava Daniel Pennac, che nel suo “Diario di scuola”, affronta il tema dell’istruzione dal punto di vista degli ultimi, dal suo punto di vista, quello di un alunno ultimo della classe, salvato da alcuni docenti bravi a tessere relazioni umane e didattiche: “gli insegnanti che mi hanno salvato [… ] erano adulti di fronte ad adolescenti in pericolo. Hanno capito che bisognava agire tempestivamente. Si sono buttati. Non ce l’hanno fatta. Si sono buttati di nuovo, giorno dopo giorno, ancora e ancora… alla fine mi hanno tirato fuori. E molti altri come me. Ci hanno letteralmente ripescati. Dobbiamo loro la vita.”
Di questo, oggi come ieri e come domani, ha bisogno la scuola: docenti che non si tirino indietro, che sappiano affrontare le vere sfide dell’inclusione. La scuola richiede la presenza di docenti che mettano in atto strategie perché ogni studente si senta, a scuola, a casa sua. In un ambiente non competitivo e solidale dove tutti contribuiscono al bene di ciascuno. Insomma, non di professori che assegnano premi in denaro a chi bravo lo è già di suo, ma di docenti come quello a cui Daniel Pennac dedica il suo “Diario di scuola”: in memoria di Jean Rolin, che non smise mai di sperare nel somaro che ero.
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