Don Milani “è morto emarginato dalla Chiesa” e “isolato dal mondo della scuola, perché la sua denuncia era troppo forte”.
Lo ha detto Paolo Landi, ex allievo del sacerdote confinato nel dopoguerra per i suoi metodi educativi considerati troppo “avanzati” per l’epoca, nel corso dell’incontro svolto il 5 giugno al Miur “Insegnare a tutti”, dedicato alla figura ed azione in campo educativo di don Lorenzo Milani nel 50esimo anniversario delle sua morte.
Oggi che lo si ricorda, “è una giornata storica”: “Barbiana è un museo, muore con la morte di don Lorenzo, ma restano i suoi insegnamenti, che sono attuali”, ha detto ancora l’ex alunno.
“Quella di don Milani – ha ricordato Adele Corradi, la professoressa che lo aiutava a Barbiana – era la scuola del futuro, come avrebbe dovuto essere”.
“Di lui si parla con superficialità: gli insegnanti facciano seminari di studi sulla sua figura per evitare che la si interpreti male”, ha concluso la docente.
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“Ricordare don Milani è un atto dovuto di riconoscimento” e “non di risarcimento” – ha chiosato la ministra Fedeli – “per lo straordinario impegno di educatore che lui ha svolto a Barbiana e per quello che ha dato alla scuola. Oggi abbiamo regole e norme di inclusione scolastica e contro la dispersione, per non lasciare indietro nessuno. Questo era il motto della sua esperienza: occuparci degli ultimi e dare a chi ha meno lo strumento più importante, cioè l’istruzione e la conoscenza, che sono strumenti per la dignità”.
“Nel tempo che viviamo – ha sottolineato Fedeli – abbiamo bisogno che la scuola e i media sappiano rimettere al centro la cultura dell’istruzione che non lascia indietro nessuno. Perché a una società, a una convivenza civile e democratica, conviene”.
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