In una lontana regione della terra, esiste una fitta, impenetrabile foresta; al centro di essa, in una radura verdeggiante e variopinta dei colori dei fiori più rari e più belli, la donna.
È lì da sempre, molti la cercano, ma lei vive libera come l’acqua del fiume, è come il vento, accarezza gli alberi, ama la natura, ne diffonde il profumo, percorre le vie del cielo e si lascia guidare dolcemente dalla luce del sole.
Abbagliato e accecato dallo splendore dell’amore, l’uomo la cerca, la insegue per amore! La sua melodia e le sue parole sono musica che si diffonde per addolcire il cuore. Lei nel suo intimo sogna il grande amore, l’unione perfetta, l’armonia e la pienezza, ma considera un delitto la perdita della libertà, non vuole diventare preda, vittima e fugge lontano.
Essere sola sotto un cielo di stelle, nel chiarore di una notte di luna piena, lontana dal mondo per aspettare l’aurora, dà una sensazione di benessere, di purezza, di libertà che penetra nelle profondità dell’anima.
Ma come in un delicato sogno dilatato all’infinito, si inoltra in un sentiero incantato dove, attraverso una luce gentile e soffusa, sente vibrare le arcane corde dei sensi e dello spirito, avverte il dolce palpito dell’amore; la donna, l’uomo, il vento: una costante carezza, una pioggia d’oro, un continuo palpito di desiderio e fremito di piacere.
Emblematiche a tal proposito le parole del Cantico dei Cantici, in cui si riflettono i sogni e le speranze di colei che intende assaporare e gustare la bellezza e l’armonia della relazione: l’amore che cerca l’amore. “Una voce, il mio diletto! Eccolo viene saltando per i monti, balzando per le colline…Eccolo, egli sta dietro il muro, guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate. Ora parla il mio diletto e mi dice: Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro” (Cantico dei Cantici 2, 8-14).
La donna, il capolavoro della vita, che racchiude il segreto dell’esistenza, è un dono, una luce che illumina e riscalda, che penetra tra le forze arcaiche e indomite di un Io affannoso, di un Io confuso e smarrito in un universo di messaggi contraddittori che, spesso, spengono gli entusiasmi, il sorriso, l’attenzione, il rispetto e l’amore verso un mondo meraviglioso.
Ora docile strumento, ora minaccioso nemico, l’uomo cerca di fare della donna una creatura di rango inferiore: improvvisamente diventa il nemico, il violentatore, lo stregone che plagia e incanta, il nume accecante con il suo bagliore, il drago che uccide e diffonde lacrime di paura.
È il desiderio e il piacere dei sensi, la perversione delle forze vitali che soffocano l’esistenza: è lo stadio pre-umano dell’amore.
Quante donne, oggi, sono gracili piante nel gran campo della vita, prede belliche nella lotta per il possesso!
Quante donne, schiave d’amore, vivono oggi in una sorta di cornice gelata, nel vuoto profondo di un amore, di un sogno che è solo un’ombra lontana!
Furente, disperata, a volte accecata dal fuoco di un ingannevole amore, è sempre lei la prigioniera, la preda, la vittima. Il maschio tremendo e distruttore, ebbro di odio e di sangue, scende in campo con tutto il suo terribile armamento: rabbia, forza, brutalità, violenza, quasi sempre associate ad angosce, nevrosi, ombre, doppi vissuti d’inferiorità (natura e cultura), alienazione di sé, impossibilità ad autorealizzarsi nell’amore.
Alla base delle tante favole tristi e dei tanti assurdi, drammatici ed efferati femminicidi, la negazione dell’amore.
Non c’è amore dove non c’è scelta; non c’è amore dove non c’è libertà; non c’è amore dove non c’è rispetto. Ma soprattutto non c’è possibilità d’amore, dove non c’è possibilità di relazione.
Un rapporto nato e cresciuto nella dimensione dell’avere, porta necessariamente con sé l’angoscia della perdita e, quindi, della gelosia.
Dalla conquista e dal possesso è facile scivolare al soffocamento della dignità del femminile, alla sopraffazione, alla violenza.
Emarginata e repressa dalla misoginia di una cultura patriarcale, la donna fa ancora fatica a trovare la sua voce e, a volte, cede e si lascia ingannare dalle seducenti parole di uomini falsi, che nascondono maschere infernali, capaci di rompere e distruggere la sublime armonia di un felice e dolcissimo incontro d’amore.
Dopo una corsa affannosa, piena di ostacoli, a precipizio, giù dalla montagna, il segreto è non rimanere prigionieri dei propri errori, ma continuare a viaggiare dentro noi stessi per riportare fuori le meraviglie dell’amore: un amore, da a-mors, cioè senza morte e, quindi, divino, immortale, che inebria il cuore e ridà pienezza alla vita.
Fernando Mazzeo