La buona notizia dello “sconto” pensionistico di sei mesi a figlio si trasforma per le lavoratrici della scuola (maestre d’infanzia escluse) in una vera beffa.
Perché l’opportunità di lasciare il lavoro, per una donna con due figli, a poco più di 62 anni in cambio di una quota minima da restituire tramite la pensione, sarebbe stata presa al volo da tantissime docenti e Ata.
Molte delle quali già danneggiate dalla riforma Fornero che ha innalzato i requisiti in modo tale da costringerle a rimanere anche cinque anni in più.
Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera, si augura “che questa prima apertura lasci spazio alla nostra proposta di considerare, ai fini dell’anticipo, il complesso dei lavori di cura”. Quindi l’allargamento ad altre professioni riguarderebbe colf, badanti e baby-sitter.
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Nessun accenno viene fatto agli insegnanti, categoria dove l’81% è donna. E non c’è da meravigliarsi, visto che nei giorni scorsi è stato fatto intendere che la scelta di includere le maestre d’infanzia tra le categorie gravose è stata dettata principalmente dall’esigenza di favorire il turn over per la singola categoria visto l’alto numero di precari ancora nelle GaE.
Stando così le cose, i lavoratori che non rientrano nell’Ape social saranno costretti a lavorare fino a 66 anni e 7 mesi. Anzi, dal 2019 si passerà a 67 anni pieni. Da quel che trapela, l’apertura del Governo sarebbe limitata alle categorie di lavoratori che svolgono attività gravose (come macchinisti, facchini, operatori ecologici). E comunque di insegnanti non se parla nemmeno in questo raggruppamento.
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