In Italia le donne conseguono “risultati più brillanti lungo il percorso formativo e in quasi tutti gli indirizzi di studio rispetto agli uomini, ma sul mercato del lavoro scontano ancora un forte divario in termini non solo occupazionali e contrattuali, ma anche e soprattutto retributivi”. A sostenerlo è una indagine condotta da AlmaDiploma e AlmaLaurea, alla vigilia della ricorrenza della Festa della donna.
A scuola – in base al ‘Rapporto 2017 sul Profilo dei Diplomati’, di cui abbiamo già parlato in un altro articolo – le ragazze già dalle medie inferiori “se la cavano meglio” dei ragazzi portando a casa un voto d’esame più elevato (il 35% delle ragazze contro il 26% dei ragazzi ottiene 9 su 10) cosa che fanno anche alle superiori con un voto medio di diploma di 78,6 su cento per le ragazze contro il 75,1 dei ragazzi. “Più brillanti” alle superiori, le donne si confermano “più brillanti” anche all’Università.
Tra i laureati del 2016, la quota delle ragazze che si laureano in corso è superiore a quanto registrato per gli uomini (rispettivamente il 51% e il 46%) e il voto medio di laurea è uguale a 103,4 su 110 per le prime e a 101,3 per i secondi.
Quanto alla condizione occupazionale dei laureati, evidenzia Almalaurea, “tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo le differenze di genere si confermano significative: il tasso di occupazione è pari all’81% per le donne e all’89% per gli uomini mentre a un lustro dal titolo i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato riguardano il 61% degli uomini e il 52% delle donne”.
Pure a livello retributivo si registrano differenze di genere: “Tra i laureati magistrali biennali che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 19% a favore dei maschi: 1.637 euro contro 1.375 euro delle donne”.
Lo studio, infine, rivela che “le donne sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale a 29 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari al 90% per gli uomini, contro il 61% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’80%, con un differenziale di 19 punti percentuali rispetto alle donne con figli”, concludono da Almalaurea.
“Le lavoratrici della scuola, inoltre, risultano fortemente discriminate nello svolgimento dell’occupazione, del rapporto con l’amministrazione pubblica per la quale operano, con riflessi negativi anche nella tutela della propria vita familiare”, sostiene l’Anief. La mancata considerazione per il corpo insegnante parte dagli stipendi ridotti: oggi- fa notare il sindacato -una donna che insegna in Italia guadagna tra i 24mila e i 38mila euro. Se si considerano anche gli Ata, il compenso annuo medio è sceso a poco più di 28mila euro annui medi, che fanno vestire alla Scuola la maglia nera degli stipendi di tutta la PA”.
“Il problema è anche quello dalla mancata crescita professionale, visto che quasi sempre una dipendente della scuola va in pensione con lo stesso profilo professionale con cui è entrata decenni prima: non è un problema di competenze, perché queste donne nel frattempo hanno vinto concorsi, si sono abilitate e specializzate”, conclude l’organizzazione sindacale.
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