«Totale inattività del governo favore della scuola in presenza». L’accusa è partita il 3 gennaio dalla “Rete Nazionale delle Scuole in Presenza”, coordinamento nazionale nato l’11 marzo 2021, che riunisce decine di comitati delle scuole italiane (4.000 tra docenti, studenti e genitori). Secondo la Rete, l’inattività governativa ha causato «il tracollo nella preparazione degli studenti italiani dopo quasi due anni di didattica a distanza, soprattutto nelle scuole superiori italiane – di cui gli ultimi risultati dei test INVALSI sono solo la prova più concreta – lo smisurato aumento, per le fasce adolescenziali, di diagnosi di disturbi mentali e comportamentali, di prescrizioni di psicofarmaci e di atti di autolesionismo gravi o fatali (348 tentativi di suicidi e 413 suicidi – uno ogni 18 ore – secondo l’Osservatorio Suicidi Covid 19)».
Infatti «Nessuna azione pubblica strutturale, nazionale o locale, in materia di trasporti pubblici, areazione o edilizia scolastica, è stata assunta dal governo centrale né dalle amministrazioni locali per garantire la scuola in presenza anche in zona rossa, come è avvenuto all’estero».
La Rete ricorda le sentenze sulla «illegittimità delle ordinanze che hanno determinato la chiusura delle scuole, a macchia di leopardo, su tutto il Paese», e dichiara «aperta la strada al risarcimento dei danni subìti dagli alunni della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado: gli amministratori dovranno risponderne con le casse dell’erario pubblico».
In effetti è dello scorso 5 ottobre 2021 la sentenza del TAR Lazio che riconosce illegittimi i provvedimenti di chiusura delle scuole in presenza: «i decreti impugnati non risultano supportati da specifiche indicazioni del CTS né, peraltro, da studi orientati verificare il ruolo dell’attività scolastica nella diffusione del contagio all’interno ed all’esterno dei plessi», perché è stata «carente un’analisi di tipo epidemiologico in tal senso». Inoltre — ricorda la Rete in un comunicato del 27 dicembre 2021 — «Il Consiglio di Stato, nei mesi scorsi, ha dichiarato illegittimi – e sottolineiamo ‘illegittimi’ – i provvedimenti governativi di chiusura “preventiva” delle scuole effettuati durante lo scorso anno scolastico». Sentenze analoghe sono state emesse da altri TAR.
Ebbene: sono proprio infondate le accuse al Governo (o meglio, ai Governi degli ultimi due anni) di non aver fatto abbastanza per tutelare le scuole nell’attuale emergenza?In effetti, parte una campagna mediatica senza precedenti per tenere le persone in casa grazie alla paura (più ancora che mediante decreti d’urgenza e divieti), poi per indurre gli Italiani a vaccinarsi; a parte i bollettini continui di morti e ricoverati, per due anni di seguito e per 24 ore al dì; a parte gli appelli al patriottismo e al canto corale dai balconi in ore prestabilite; a parte le comparsate continue di ministri e sottosegretari in tv per raccomandare, rassicurare, ricompattare il popolo intimorito; a parte tutto ciò, sarebbe stato sufficiente investire i pubblici denari in provvedimenti strutturali per permettere a tutti di muoversi, lavorare e studiare in sicurezza (cioè con un distanziamento sufficiente a non contagiarsi). Ma nemmeno il PNRR li prevede (anzi, sulla Scuola prevede tutt’altro).
Già su questa testata abbiamo più volte ribadito ciò che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto: dimezzare i gruppi classe, cominciando dal formare le prime classi di ogni ciclo con un massimo di 15 alunni (se si fosse cominciato dall’anno scolastico 2020/21, oggi già il 40% delle classi di Primarie e Superiori e il 66% delle Medie sarebbero in sicurezza effettiva); mettere aeratori in ogni classe; raddoppiare i mezzi pubblici (magari utilizzando i mezzi inutilizzati di Esercito, Marina, Carabinieri, Guardia di Finanza). Soluzioni ovvie, adottate senza esitazione in altri Paesi europei, e già di per sé necessarie in Italia ben prima dell’emergenza CoViD per migliorare scuole, trasporti e qualità della vita dei cittadini italiani, avvezzi da decenni a sentirsi vittime di servizi da Terzo Mondo.
E invece no. In Italia dobbiamo continuare a credere, obbedire e combattere in scarpe inadatte alle steppe russe, in edifici “antisismici” dai pilastri di sabbia, in classi di 35 alunni (minacciati di DaD), in autobus stracolmi di folla asfissiata persino in epoca di pandemia. Ci crede davvero il Governo alla pericolosità del virus? O dobbiamo supporre che, in fondo in fondo, Palazzo Chigi sia un covo di negazionisti?
Mandare in DaD mezza classe, poi — col docente “showman” a barcamenarsi tra banchi e videocamera del pc — è ciò che di più antididattico si possa immaginare.
E viene allora da porsi altre domande: forse qualcuno ha già deciso la fine della Scuola come ascensore sociale e come fucina di crescita culturale e di pensiero critico? Forse alcuni settori del ceto dirigente di questo Paese preferiscono che la Scuola diventi simile a un “centro di formazione professionale a distanza”, fruibile mediante schermo del cellulare e “cuffiette”, quiz e filmati, pagine interattive e ricerche copiate da Google? Sarà per questo che, anziché investire nel dimezzamento degli alunni per classe, si vuole sostanzialmente disinvestire progettando il “Liceo breve” e il taglio dell’ultimo anno delle Superiori?
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