Leggendo l’ennesimo episodio di rabbia e di violenza che ha colpito la nostra città? Dopo l’orrore della notizia non possiamo non domandarci da dove arriva tanta violenza?
Da una parte un futuro dottore, laureato con 110 e lode, dall’altra parte, ad ucciderlo con un calcio sferrato con ferocia alla testa, un altro giovane; dello Zen, noto quartiere periferico palermitano, in cui i drammi familiari, sono il pane che accompagna il vivere quotidiano di centinaia di adolescenti.
Il primo che si lancia per sedare una rissa, il secondo che nonostante fosse già bloccato per le braccia, sferra l’ultimo colpo al nemico a terra. Lo colpisce alla testa con tale violenza da dargli la morte.
È stata interrotta una vita coltivata per anni, con amore e sacrificio, da una coppia di genitori che (come tanti) investivano le loro risorse, per garantire un futuro al proprio figlio. Una morte orrenda, aggravata da una rabbia antica, sempre pronta a scoppiare e trasformarsi in tragedia. E la rabbia degli esclusi, di tutti quei giovani che vengono cacciati da una scuola incapace di accoglierli o che si auto escludono ponendosi in dispersione.
Il mio lavoro, nei servizi sociali del Comune di Palermo, è quello di cercare di recuperare alla scuola, gli adolescenti che evadono l’obbligo formativo, ma sono tanti. Impossibile rintracciarne i dati precisi. Centinaia di adolescenti che una scuola che non riesce ad essere inclusiva punisce con l’insuccesso scolastico prima, con l’abbandono dopo.
Li vedo ogni giorno, nel mio ufficio di fronte il Mercato Ittico, cupi… arrabbiati, sfidanti e rancorosi. È la fascia di adolescenti su cui si investe meno, per cui le braccia cadono stanche, sembra impossibile riparare ad errori didattici accumulati negli otto anni della primaria ed a quelli della secondaria di primo grado.
Ma sono anche questi errori: il non averli preparati alla fatica e alla disciplina dello studio, ad esplodere nel biennio delle superiori, in cui si verifica il più alto tasso di abbandono ed in cui è minima l’attenzione della collettività. È un rituale assai noto agli operatori del servizio sociale: si comincia col non mantenere il passo con le materie, si accumulano ritardi, fioccano le prime insufficienze, che inesorabilmente si espandono in tutte le materie… la promozione è irrimediabilmente compromessa. È qui che si innesca il rifiuto verso il mondo scolastico e la frustrazione che inevitabilmente ne consegue, diventa rabbia, energia distruttiva che sancisce la dimostrazione della propria esistenza.
Più si arretra tra i banchi, più ci si chiude, senza che ci sia nessuno a tendere una mano. A casa di aiuto neanche a parlarne: critiche, ingiurie e giù botte!
Poco per volta la tragedia si compie e la strada diventa l’unica maestra di vita. Lì impari ad odiare gli altri, chi ti ha estromesso dal successo e dalla riscossa sulla miseria. Impari che devi farti spazio a calci e pugni, senza nessuno che ti indichi un’altra via.
Senza nulla togliere alla gravissima azione di violenza consumata contro una persona inerme, all’atto odioso e irreparabile che ha provocato un immenso dolore e uno scuotimento degli animi tutti; oltre al pianto dobbiamo anche chiederci se facciamo abbastanza per recuperare questi ragazzi palermitani, dobbiamo anche chiederci se la scuola sia ancora capace di trovare il suo indispensabile ruolo educativo, prima che formativo, andando a formare l’animo, l’uomo, il cittadino prima che il professionista. Gravi sono le responsabilità di una scuola palermitana che ha il primato dell’abbandono scolastico, ma ancor più grave è il silenzio e l’assenza di una seria programmazione volta al recupero di centinaia di giovani della nostra città.
Lutto cittadino si, come è giusto che tutta la città si fermi in raccoglimento, comprendendo che sugli adolescenti occorre investire risorse, coinvolgerli appassionarli in progetti di vita, accompagnarli nella loro fatica di vivere, fino a quando ne hanno bisogno. Quale futuro hanno questi ragazzi, quale futuro hanno le nostre città , a quanto futuro rubato, distrutto carico di immenso dolore dobbiamo ancora assistere prima che si sveglino le coscienze e le responsabilità di ognuno,in modo che queste possano diventare esempio per “tutti”. L’esclusione non protegge la società dalla miseria e dalla violenza che questa produce.
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