L’incertezza verso il dopo-maturità coinvolge anche l’Università, dove i diplomati italiani si rivolgono sempre in numero minore: in appena quattro anni, dal 2018 al 2021, la percentuale dei ragazzi che pensa di iscriversi ad un ateneo dopo il diploma, è passata dal 76,8% al 63%. Di contro, con il 77,4% delle ragazze e al 57,7% dei ragazzi che sogna di viaggiare, soprattutto per conoscere posti nuovi (46%) ed entrare in contatto con nuove persone e culture diverse (27,3%): è significativo che appena il 6% si dice poco o per nulla interessato a farlo. I dati fanno parte dell’edizione 2022 dell’indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata dalla associazione no-profit Laboratorio Adolescenza e dall’Istituto di ricerca IARD su un campione di 5.600 studenti della fascia di età 13-19 anni.
Secondo Ivano Dionigi, presidente di Alma Laurea e già Rettore dell’Università di Bologna, stiamo vivendo “un’evidenza preoccupante, figlia di almeno quattro fattori”.
Da una parte, per Dionigi, c’è “una progressiva sfiducia degli adolescenti nei confronti del futuro, certamente alimentata dai due anni di pandemia, ma soprattutto una sfiducia nei confronti del mondo adulto, di cui l’Università è certamente una componente iconica”.
Ma ci sono anche “due elementi oggettivi: la difficoltà a trovare lavoro dopo la laurea e il costo degli studi universitari che incide sempre di più sui bilanci familiari, se consideriamo l’impoverimento generale della popolazione a cui stiamo assistendo negli ultimi anni”.
La sfiducia generalizzata verso gli atenei è stata certamente amplificata dalla pandemia. Le lezioni on line hanno allontanato ulteriormente i giovani dalla formazione in generale, come dall’Università.
Gli atenei stanno comunque correndo ai riparti. Il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, a margine della premiazione dei 450 studenti e studentesse più meritevoli dell’Alma Mater, ha detto che “l’Università di Bologna ha deliberato un ritorno al 100% in presenza in aula e speriamo che la pandemia non ci crei ulteriori problemi”.
“La didattica in presenza è fondamentale per l’università – ha continuato Molari – detto questo intendiamo mantenere le sperimentazioni più innovative della didattica degli scorsi anni”. “Abbiamo infatti previsto una nuova didattica che offre la possibilità di sperimentare un modello che prevede una parte dell’insegnamento solo online”.
Non più didattica mista, quindi, “ma per ogni corso di laurea, sui cinque insegnamenti sarà possibile avere parti interamente online – ha detto il rettore – da valutare a seconda dei singoli programmi”.
Intanto, giungono ulteriori notizie sugli “effetti collaterali” della pandemia: na ricerca dell’Università di Torino, promossa dal Corecom e dalla Regione su un campione di circa mille studenti, trecento docenti e cento esponenti del personale Ata in tutto il Piemonte, segnala un rallentamento del bullismo e del cyberbullismo durante il lockdown. Il fenomeno è però rimbalzato al livello pre-Covid con il ritorno della scuola in presenza.
Lo studio è stato presentato il 1° luglio a Torino, a Palazzo Lascaris, da Maria Adelaide Gallina, docente di Sociologia, durante un convegno sul bullismo organizzato dal Consiglio regionale.
Alla base degli episodi di bullismo, rilevati attraverso la compilazione di un questionario, sono risultati nel 71% dei casi le caratteristiche personali, nel 40% l’origine straniera e sempre nel 40% l’orientamento sessuale, nel 24% il genere, nel 16% la disabilità, nel 2% i motivi religiosi.
Il Piemonte, è stato osservato, è all’avanguardia nelle azioni di contrasto del fenomeno: nel 2022 ha distribuito oltre 13 mila patentini per l’uso consapevole dello smartphone.
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