Ormai è abbastanza chiaro a tutti che una generazione di ragazzi, quelli soprattutto delle fasce economicamente più deboli, delle periferie cittadine, quelli i cui genitori vivo di espedienti, quelli di cui lo Stato tenta di ignorarne l’esistenza, rimarranno senza studio e senza istruzione, constatato che la didattica a distanza, in tempo di pandemia, è un palliativo della scuola in presenza, ma soprattutto costoro rischiano di rimanere deprivati di quei rapporti umani, sociali ed educativi che invece solo le aule scolastiche sanno offrire.
Forse nasce anche da qui, da questa constatazione, la proposta della ministra dei trasposti De Micheli di scaglionare gli ingressi a scuola e di aprirla anche il sabato e la domenica, in modo che queste schiere di studenti non si disperdano o non abbandonino, e riconquistino soprattutto il luogo più coerente per la loro formazione come futuri cittadini consapevoli e che abbiano a disposizione anche tutti gli strumenti necessari delle pari opportunità per competere lealmente con chi parte già più avvantaggiato per posizione sociale, economica, ambientale.
Già la primavera scorsa furono tante le mamme che, attraverso il gruppo facebook “Riapriamo la scuola della Costituzione dopo il Covid”, chiesero “mille, diecimila, centomila aule ovunque: nelle piazze, nei parchi, nei giardini, nei musei e nei teatri. Troppo hanno sofferto bambini e ragazzi, reclusi in casa davanti a un pc. Lezioni all’aperto per non lasciare ancora soli studenti e genitori”.
Ma non solo, altri gruppi di genitori e di insegnanti, consapevoli anche loro dei rischi cui potevano andare incontro i ragazzi che vivono nel disaggio, proposero “spazi aperti per una scuola estiva, almeno fino al 15 luglio e almeno nei centri meno colpiti dall’epidemia, garantendo così al contempo la necessaria socialità ai ragazzi, il diritto alle ferie degli insegnanti e un aiuto concreto alle molte famiglie che non potranno permettersi di andare in vacanza né di pagare ai propri figli il centro estivo”.
“Il concetto di scuola – si disse pure allora- non potrà più essere legato all’edificio, ma dovrà essere esteso e diffuso: la città dovrà essere ripensata e fare spazio agli studenti. Musei, edifici civili e militari, associazioni di volontariato, circoli ricreativi, parrocchie, parchi”.
Il tutto sempre all’insegna del “No alla didattica a distanza” perché crea discriminazioni e isola i ragazzi, sbandandoli in mancanza di punti di riferimento culturali, educativi, sociali che attraverso il contatto coi compagni e coi prof si realizzano.
Anche la ministra Azzolina parve d’accordo e su questa linea ha cercato di muoversi ma, mentre si discute in questi giorni di ridurre le vacanze e di protrarre di qualche mese l’anno scolastico, la sua stessa proposta, di fare “lezione anche negli archivi, nei musei, nei teatri e, per i più piccoli, anche al parco. Facciamo in modo che i nostri studenti respirino quella cultura e quella natura di cui hanno bisogno”, sembra essere volata via, travolta dalle difficoltà, dai sospetti, dalle diffidenza e soprattutto dalle probabili maggioranze che temono altre e più pericolose confusioni.
Ma sembra pure essere volata via la proposta dei sindacati: “Ritengo doveroso dire a tutte le famiglie che a settembre e nel prossimo anno scolastico, a meno di risvolti e sviluppi decisamente positivi della situazione sanitaria, la scuola sarà molto diversa da quella cui eravamo abituati e che già aveva diversi punti di sofferenza”.
Dove sia questa scuola così “diversa da quella a cui siamo abituati” non è dato sapere, mentre abbiamo ormai una certezza: nella nostra Italia ci sono troppi dimentichi, troppi dimenticatoi con dimenticanze ad arte dimenticate.
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