Una conoscenza casuale, con lei che tenta il suicidio, e un salvatore di eccezione, Luigi Capuana che l’accoglie a casa sua a Mineo, in provincia di Catania, facendone per certi versi la musa e l’amante, la moglie e la compagna, la segretaria e la badante, anche perché una forte differenza di età interveniva fra i due. Ma fu soprattutto coautrice e curatrice di tante sue opere.
Ma l’amore è altro, comprese le conoscenze che col grande scrittore siciliano, padre e teorico del “Verismo”, la donna riesce ad accaparrarsi, considerato che questa straordinaria, ma singolare, storia, raccontata da Dora Marchese, docente e ricercatrice all’università di Catania, “Adelaide Albertini: la Chimera della letteratura”, FondazioneVerga/Euno Edizioni, 24 euro, risiede al tempo in cui la donna non aveva molta legittimazione giuridica e dipendeva in tutto o quasi, compreso il possesso dei beni, dall’uomo, dal padre o dal marito.
Nata a Narni nel 1872 Adelaide Bernardini si cucì addosso lo pseudonimo di “Chimera”, che è anche il titolo di una sua opera letteraria, per essere più libera nelle sue variegate avventure artistiche che vanno dalla poesia alla narrativa, dal giornalismo alla drammaturgia, dalla critica letteraria alla librettistica, ottenendo le attenzioni, ma non gli apprezzamenti dovuti e i riconoscimenti meritati, della intellighenzia del periodo, grazie proprio alla protezione di Capuana (“Capuana -scrive Marchese- inizia l’opera di raccomandazione della sua amata per collaborazioni varie con giornali e riviste”), entrando così in rapporto con i maggiori scrittori ed editori dell’epoca, da Treves a Sandron a Giannotta e in rapporti personali e culturali con Giovanni Verga, Federico De Roberto, Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Matilde Serao, Amalia Guglielminetti, Grazia Deledda.
Tutto regolare allora, nella normalità di una reciproca stima e collaborazione fra artisti? Niente affatto: distacco e snobismo, sfiducia e sufficienza, tanto che di lei, di Bernardini, si erano perdute le tracce, era calata la classica “damnatio memoriae”, unitamente alla totale disattenzione sulla sua intera produzione. Che è importante e che denota una intelligenza fertile e una preparazione non comune, considerato pure che scrisse opere, lei umbra, in dialetto siciliano che riuscì a capire fino in fondo e a rendere linguaggio poetico come pochi sanno fare.
E questo lavoro di resurrezioni dalle ceneri della dimenticanza è dovuto a Dora Marchese che col cipiglio della ricercatrice seria e preparata è andata a sfogliare non solo i classici tentativi maschili di delegittimazione della Bernardini, in quanto donna, ma anche le sue opere, con le corrispondenze e gli scritti, le battaglie per affermare diritti e principi di uguaglianza e dunque di emancipazione rispetto a problematiche come istruzione, matrimonio, maternità, divorzio, adulterio, argomenti troppo moderni per quel tempo e quelle realtà.
Un saggio, quella della Marchese sulla Bernardini, che però ha i tratti del romanzo storico, in cui la biografia di questa singolare donna allarga l’indagine agli altri personaggi dell’epoca che, non dimentichiamolo, è forse una fra le più feconde della nostra letteratura nazionale.
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