Duecento anni fa, a Mosca, l’11 novembre 1821, nasceva Fëdor Dostoevskij, considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri russi di tutti i tempi e pure, secondo Sigmund Freud, ”Il suo posto viene subito dopo quello di Shakespeare”.
Nel 1846 pubblica “Povera gente” ma tre anni dopo, nel 1849, viene arrestato per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi e condannato ai lavori forzati. Ottenuto il permesso di rientrare nella Russia europea, si stabilisce a Tver’ e nel 1866 inizia la pubblicazione, a puntate, del romanzo Delitto e castigo. L’anno dopo sposa la sua stenografa Anna (di vent’anni più giovane) e parte con lei per un nuovo viaggio in Europa, a Firenze, dove comincia a scrivere L’idiota.
Di questo sposalizio e di tutta l’avventura amorosa fra i due si occupa un bellissimo romanzo di Giuseppe Manfredi, “Anja. La segretaria di Dostoevskij”, La Lepre Edizioni, 25 euro.
Dopo la morte prematura della figlia Sonja, nel 1879 inizia sulla rivista «Russkij vestnik» la pubblicazione deI fratelli Karamazov, il suo grande capolavoro. “Il più grandioso che sia mai stato scritto, l’episodio del Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura universale, di bellezza inestimabile”. Muore improvvisamente, in seguito all’aggravarsi di un enfisema, il 28 gennaio 1881.
Con la sua morte si chiude la grande stagione letteraria della Russia del secondo Ottocento in cui hanno scritto i propri capolavori anche Tolstoj, Turgenev e Goncarov. In ogni caso, la critica è concorde a ritenere ”Memorie del sottosuolo” l’atto di nascita della letteratura moderna dal momento che si avvia l’introspezione di rilievo esistenziale, costruendo attraverso episodi, spesso autonomi, la vera sostanza dei fatti che acquista il valore passionale delle idee.
Con ”Povera gente”, tra grottesco e pietà, aleggia la sua sofferta partecipazione con chi vive tra umiliazioni e miseria, mentre, a seguito del suo arresto e della detenzione in Siberia, nasce ”Memorie di una casa morta”.
Datosi pure al gioco, da questa situazione nasce ”Il giocatore”, un uomo travolto dalla passione per la roulette, e quindi ”Delitto e castigo”, il grande romanzo sul pentimento e l’espiazione col protagonista che fa i conti con la propria amoralità di essere che si credeva superiore.
Nel 1873 pubblica ”I demoni”, dove sembra riflettere in modo nuovo sui temi dei romanzi precedenti, dal nichilismo all’atto gratuito e l’assenza di Dio. Romanzo terribile, forse il più difficile, faticoso e bello della sua vita. Non era mai andato così in alto, così in basso, così lontano. Memorabile la figura di Kirillov, che è pronto a suicidarsi quando gli verrà ordinato e che dunque diventerà – chissà perché – una sorta di dio che dispone della sua e della vita degli altri.
Scrive poi molte altre cose, tra cui racconti lunghi di rara qualità e poesia come ”La mite” e la storia di un giovane in ”L’adolescente”. “Tutte le azioni del mondo” diceva “dipendono dall’esistenza di Dio”, nella quale egli credeva e forse pure non credeva.
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