C’è un versetto, nella lettera di Giacomo, che mi colpisce per la sua ricchezza di fascino. Ma che è anche molto problematico: “Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo per arricchirli con la fede e farli eredi del suo regno” (Gc 1,5).
Sembra quasi che la fede e la salvezza siano riservate solo alle persone inadeguate o poco dotate.
Questo non è possibile. Tutti noi infatti conosciamo persone povere, disagiate, sofferenti che sono tutt’altro che baciate dalla pace interiore. Così come conosciamo persone ricche ed affermate armoniose e disponibili. Oltretutto il calendario della Chiesa cattolica è pieno di re e di regine. Anzi, c’è stata un’epoca in cui il re santo o la regina santa erano uno stereotipo ricorrente.
Evidentemente, il termine “povero”, nel succitato versetto biblico, non ha una valenza sociologica, né tanto meno economica, ma possiede un significato esistenziale, anzi teologico. Povero agli occhi di Dio è chi riconosce umilmente la sua connaturale finitezza, la sua nullità.
Povero è chi lo ringrazia per aver donato proprio a lui, ad un essere pieno di limiti, la risorsa più grande che possa esistere. Quella di poter credere in un Dio amorevole, provvidenziale, misericordioso, che ci chiama all’esistenza per renderci felici. Quella di concepire possibile, anzi ragionevole, che la realtà possa avere un senso positivo. Che Qualcuno possa chiamarci a partecipare – dopo un preludio di determinazione consapevole – ad una vita perfetta ed eterna. Questa, per me, è la più grande ricchezza.
Peccato, però, che chi si sente pieno di potenza, successo, intelligenza, cultura, prestanza fisica, giovinezza … spesso non è disponibile a credere in questo. Si sente, infatti, già appagato, compiuto.
Bisogna ammettere che non sempre chi è baciato dalla fortuna è realmente un fortunato. Spesso, infatti, ricchezza, successo e simili, non si rivelano una benedizione, ma qualcosa che ci schiaccia e ci svuota. Una prova al di sopra delle nostre forze. In altri termini, realizzare ciò che desideriamo di essere può rivelarsi, addirittura una disgrazia.
Ma non è, comunque, paradossale reputare che i “poveri” (in qualunque modo li vogliamo intendere) siano addirittura dei privilegiati? La cultura di oggi, prodotto di precise impostazioni di pensiero, ritiene, infatti, che l’esaltazione dei “poveri”, fatta dai Vangeli, non sia altro che un’alienazione, una reazione compensatoria da parte dei meno dotati.
Del resto, proprio uno dei padri della nostra cultura, Charles Darwin, ritiene che il mondo appartenga ai più dotati e che questi sarebbero, non tanto i più ricchi, i più forti ed i più colti, ma quelli che sanno meglio adattarsi alle situazioni concrete della vita.
Nell’immediato, è impossibile dargli torto. Quante volte ho incontrato degli ex alunni che sui banchi della scuola risultavano mediocri ma poi, nella vita, hanno conseguito riconoscimenti ambiziosi grazie ad una intelligenza non scolastica ma sostanziale, che li ha portati con sicurezza a fare le scelte giuste.
Probabilmente, però, questi giovani possedevano anche qualcos’altro di indubbio valore umano: realismo, equilibrio, cognizione dei propri limiti, flessibilità, capacità di autocritica, slanci affettivi, rispetto del valore degli altri, magari anche una buona dose di sensibilità e di spiritualità.
Ma, mi dica Charles Darwin … E ditemi anche voi che mi leggete. Chi è più dotato? Il giovane belloccio, sveglio, rampante, intrallazzatore, galoppino, il quale, posto allo sportello di un ufficio, tratta il cliente con freddezza formale e poi, magari, scala i gradini della sua azienda … Oppure, l’impiegata, che collocata allo stesso sportello, si rivolge ai suoi clienti con calore umano. Perché vede di fronte a sé una persona, uguale a sé stessa, e si riconosce e s’immedesima in essa?
Resta sempre che il mondo appartiene a chi ha il coraggio di aprirsi ad un’idea più grande, ad una speranza che vada oltre.
Ecco, dunque, che i dotati non sono necessariamente quelli che contano, che hanno fascino e visibilità. In questo fugace attimo della nostra esistenza.
C’è qualcosa di più profondo. Di più prezioso.
Luciano Verdone
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