Con riferimento alla mobilità geografica dei Dottori di Ricerca questa ricerca rileva che andando a lavorare all’estero ci sono più alti tassi di occupazione ma è maggiore l’instabilità lavorativa, infatti, Isfol scrive: “Per quanto riguarda invece la natura del datore di lavoro, si osserva una concentrazione nell’ambito pubblico, particolarmente evidente per i dottori espatriati. Guardando alla forma contrattuale, si nota una netta prevalenza del lavoro dipendente per il 65% dei casi (con un 47,5% a tempo indeterminato e un 17,6% a tempo determinato), seguito dal 20,6% che ha un contratto di collaborazione; il 10,6% è libero professionista mentre la parte residuale svolge un’attività sempre di carattere autonomo. Tuttavia per i dottori di ricerca che sono emigrati in un altro Stato si evidenzia una maggiore concentrazione in forme contrattuali di natura flessibile (circa il 30% ha un contratto a tempo determinato e il 27% di collaborazione). Al contrario i dottori che si sono trasferiti all’interno del territorio italiano mostrano un più elevato inserimento professionale con contratti permanenti (52%). I più alti tassi di occupazione rilevati per i dottori all’estero sembrerebbero, dunque, essere compensati da una maggiore instabilità lavorativa “. Si ricorda che questa indagine Isfol sulla mobilità geografica dei Dottori di Ricerca è rivolta ad un campione di poco meno di 5.000 individui che nel 2006 hanno conseguito un dottorato di ricerca in un ateneo italiano, anche se di cittadinanza non italiana, e che al momento del conseguimento del titolo avevano un età compera tra i 25 e 49 anni. La popolazione di riferimento ( pari a 9.727 individui ) è ricavata dagli archivi dell’Istat ed in particolare dal Censimento dei dottori di ricerca (Anno 2006).
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