Nel suo libro recentemente pubblicato Renzi ammette che qualcosa nella riforma della scuola il PD ha sbagliato, anche se non sa dire bene su che cosa, imputando gli errori a una sbagliata comunicazione.. Valeria Fedele, il ministro dell’Istruzione, alcuni giorni fa riferisce:“ Non si può avere investito risorse e assunto 100mila persone e avere tutto il mondo della scuola contro: evidentemente qualcosa dobbiamo aver sbagliato. Io penso che una delle ragioni è che quando si vogliono fare cambiamenti, bisogna coinvolgere gli interlocutori con un confronto vero sugli obiettivi e sulla qualità della proposta. Nel momento in cui tu condividi l’obiettivo è molto più facile trovare i punti di sintesi”.
In verità il PD ha provato a coinvolgere all’inizio della riforma i docenti e quindi il problema non è stato il mancato coinvolgimento degli interlocutori o l’errata comunicazione.
La riforma Giannini, oltre ad assumere centomila insegnanti, ha tentato di modificare il reclutamento degli stessi, facendoli chiamare direttamente dai dirigenti scolastici (la cosiddetta chiamata diretta), avendo contro tutti i sindacati della scuola, tranne quelli dei dirigenti scolastici, che si sono beccati l’accusa di diventare “sceriffi”, cioè sono stati accusati di concentrare un potere assoluto nella scuola. In realtà il potere dei presidi è stato molto limitato, riguardava solo i nuovi docenti assunti.
Si condividesse o meno la riforma, diciamo che il governo non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. O si dava reale potere ai dirigenti scolastici di assumere i docenti, come avviene in Gran Bretagna, in concorso con il Consiglio di amministrazione, sulla base dei curricula, oppure si lasciava il sistema com’era e come vogliono i sindacati della scuola: assunzione sulla base del punteggio delle graduatorie. Questa riforma a metà ha scontentato tutti: i docenti per le ragioni suddette e anche i dirigenti che sono stati bersagliati, senza aver nessun riconoscimento economico, come pure promesso dalla legge 107,e con nessun vero potere, tanto è vero che quest’estate per protesta molti dei miei colleghi hanno rinunciato alla chiamata diretta, affidandosi alla tradizionale nomina dell’Ufficio scolastico.
Poi c’è stato l’algoritmo sbagliato utilizzato l’anno scorso per le nomine che ha mandato in altre regioni docenti con maggior punteggio di altri che con minor punteggio hanno avuto il posto vicino al luogo di residenza. E per ovviare a quest’errore, si è dato a tutti l’anno scorso l’opportunità di avere l’assegnazione o l’utilizzazione per avvicinarsi a casa, vanificando di fatto la chiamata diretta e cancellando uno dei meriti della Buona scuola che pure ce li ha: la continuità didattica per tre anni, evitando i trasferimenti dei docenti; e l’organico dell’autonomia con il potenziamento. Si valorizzino questi punti qualificanti della “107”, evitando il trasferimento e la possibilità di assegnazione provvisoria e utilizzazione dei docenti per 3 anni, guardando agli interessi degli studenti, a cui nessuno guarda perché non hanno sindacati a rappresentarli.
E si decida una buona volta se cambiare sistema di reclutamento con la chiamata diretta o mantenere le nomine secondo punteggio di graduatoria. Nel primo caso il dirigente scolastico deve essere affiancato nella scelta dal Consiglio d’Istituto, anche per evitare responsabilità penali di scelte “soggettive”. Si sappia però che tratta però di sfidare tutti gli insegnanti che sono contrari.
Se non si ha questo coraggio, se serve il consenso al PD degli insegnanti per le future imminenti elezioni, si torni allora al vecchio metodo, ma si imponga perlomeno il blocco triennale dei trasferimenti, per non cedere del tutto alle pretese corporative che non tutelano gli interessi generali.
di Eugenio Tipaldi
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