L’anno scolastico volge al termine e le prove INVALSI, le attività di fine anno, le ultime interrogazioni rendono frenetici i giorni del mese di maggio, segnati anche da alcuni momenti significativi, come la festa della mamma, la festa della Regione, la settimana del libro, la giornata nazionale della legalità nel ricordo dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
La conclusione dell’anno scolastico sollecita una riflessione e quasi un guardarsi allo specchio per tanti operatori scolastici attenti e impegnati nel “saper scrivere dritto anche su righe storte”, nella diligente opera educativa per il miglior bene degli studenti.
La scuola buona, bella ,di qualità, resta sempre la meta e l’ideale di tutti gli educatori attenti e sensibili, la realtà e i traguardi conseguiti non sempre rispondono ai “desiderata”
La realtà sociale è in continua trasformazione, la crisi dei valori, il relativismo, la sfiducia verso le istituzioni appaiono ogni giorno sempre palesi e manifesti .
Anche se si cerca di restituire alla scuola la funzione educativa attraverso la reintroduzione dell’Educazione Civica, adottando il modulo della trasversalità, resta di fatto l’ostacolo di smontare un’impalcatura di disvalori che sono prevalenti nella vita ordinaria, orientata all’economia, al consumo, all’interesse personale e non a quello sociale e comunitario.
In un recente articolo Alvaro Belardinelli ha scritto “chi oggi consegue una laurea triennale ottiene una preparazione culturale pari a quella che trent’anni fa si poteva ottenere con un diploma di Scuola Superiore. Ciò accade perché, a loro volta, le Scuole Superiori portano oggi i propri studenti a livelli culturali di poco superiori a quelli un tempo conseguiti con la licenza media inferiore; e la Scuola Media Inferiore, a sua volta elementarizzata, si accontenta ormai di erogare conoscenze e competenze un tempo raggiunte alla Scuola Elementare (la prima del pianeta fino al 1990)”.
La linea decrescente della cultura ha una molteplicità di concause che affondano le radici nel tragico ’68 e le nuove generazioni crescono senza il riferimento alto e forte dei valori, del senso del dovere, dell’autorevolezza della cultura che rende grandi e accresce la dimensione umanitaria, favorendo anche competenze sociali di attenzione e di rispetto dei diritti umani e civili .
Oggi vien meno anche la guida morale ed etica dell’insegnamento della Chiesa, che tende a far prevalere la dimensione orizzontale, perdendo di vista l’ascesi spirituale e la tensione verso i valori non negoziabili e verso l’Assoluto.
Si possono fare mille critiche al sistema scolastico che si apre al mondo del lavoro con il progetto di alternanza; progetto pensato bene, ma gestito male; ad una scuola che vuole essere innovativa e tecnologica (4.0) , mentre continua ad adottare metodi e sistemi della vecchia didattica frontale e trasmissiva che non favorisce lo sviluppo della competenza europea dell’imparare ad imparare e del pensare prima di agire e di tradurre il sapere in “saper fare” e quindi nel “saper essere” uomo, persona, cittadino attivo e responsabile.
Sono frequenti in questi giorni la critiche al sistema delle prove’Invalsi, ma risultano vane e sterili se non si riesce a leggere e interpretare gli esiti delle prove di competenze didattiche degli studenti. Tutto ciò provoca disattenzione nel saper leggere i bisogni e le carenze didattiche che vengono nascoste come polvere sotto il tappeto e si continua a “svolgere il programma”.
Eppure la scuola è bella, ci sono studenti eccellenti che meritano elogi e apprezzamenti, che vincono premi, gare, certamen, e olimpiadi; che conseguono borse di studio e il titolo di “Alfieri della Repubblica”. Questi ragazzi sono seduti nel banco accanto a quelli svogliati, che vivono alla giornata, che mettono al primo posto il divertimento e trascurano lo studio, che sperano nel 6 politico per andare avanti senza camminare e crescere culturalmente.
Ci sono nella scuola docenti eccellenti, veri professionisti dell’educazione che sanno “guardare tutti e osservare ciascuno” che attivano positive relazioni educative con gli studenti e diventano modelli, testimoni e lasciano il segno (in-segnano) nei loro alunni. Lo conferma un evento di questi giorni che ha riempito l’aula magna di un liceo attorno al professore e preside che ha compiuto 80 anni, di cui 62 nel medesimo liceo come studente, docente e preside, vero “maestro di vita e di cultura classica”.
“Insegnare è toccare una vita per sempre”. Solo che questo magico contatto non sempre avviene o non diventa efficace, quando l’insegnamento non si traduce in apprendimento e non produce la modifica dei comportamenti e quindi del modo di pensare, di sentire e di agire degli studenti che non riescono ad emergere dal fango torbido e sporco di una società fluida e debole.
Occorre guardare la scuola con occhi nuovi, proiettarla verso orizzonti di sviluppo, di crescita, di eccellenza, sostenere la formazione dei docenti educatori e “maestri di vita”, investire nella scuola risorse e qualità di strutture e di servizi per assicurare una società migliore domani.
Il Governo della Finlandia ha investito sulla scuola risorse energie e progettualità. Perché non avviene altrettanto in Italia? Gli insegnanti, anche se bravi bravissimi, hanno stipendi inferiori a quelli degli altri Paesi della Comunità Europea, che detta legge su alcuni prodotti commerciali e trascura l’essenziale della cultura e degli investimenti per il domani