La disciplina della verità, quasi un titolo di un manifesto di pensiero comune.
Perché davvero, evangelicamente, la verità salva, rende cioè liberi.
E di verità sentiamo tutti di avere bisogno, al di là delle mille opinioni e delle troppe fake news, oltre gli infiniti chiacchiericci del gossip quotidiano.
“La verità mi fa male”, cantava quando ero adolescente Caterina Caselli. Ora, vedere certi spettacoli non solo politici, e non rendersi conto di come stanno le cose, penso faccia più male di sentire un po’ di verità.
Come quella, ad esempio, sul perché del nostro grande debito pubblico, legato all’illusione di poter vivere all’infinito al di sopra delle proprie possibilità, tanto da creare delle vere ingiustizie tra generazioni, cioè dei padri e dei nonni nei confronti dei propri figli e nipoti.
Perché saranno loro, questa la verità, che ne pagheranno le conseguenze, come noi oggi paghiamo le conseguenze degli errori, dagli anni settanta, dei nostri padri.
Ci vorrebbero quelle riforme vere, per cambiare la politica (con una legge elettorale davvero rappresentativa) vista attraverso la pubblica amministrazione, l’istruzione, la giustizia, l’assistenzialismo (che continua a colpire non solo il nostro mezzogiorno), la legislazione del lavoro, l’impresa, e così via.
Dovremmo, su questi campi, dirci anzitutto un po’ di verità in faccia, prima di affidarle poi ai politici, ma anche, attraverso i bandi pubblici di assunzione, di affidarle ai burocrati, ai magistrati, a chi forma le nuove generazioni, ai tutori dell’ordine. Perché, poi, le istituzioni sono la casa di tutti.
E se uno chiedesse: ma qual è questa verità, in sintesi? Il sentirsi parte, potrei rispondere, di un destino comune.
Che oggi non è limitabile da una lingua, da una storia, da un confine. Perché il mondo di oggi, che piaccia o no, vive poi di altre verità, che piacciano o meno, per le interdipendenze e multi appartenenenze.
È questo destino comune va governato, non subito, come mi pare stia accadendo oggi, credendo che chiudendosi in casa risolviamo tutto.
Poveri illusi? Basta alzare lo sguardo, e fra pochi anni avremo le risposte che non ci aspettiamo, che non volevamo: basta dare un’occhiata ai dati demografici e studiare un po’ la geopolitica odierna.
Per questi motivi, i guasti nelle nostre istituzioni, nell’economia, nella società, nella cultura e nelle mentalità del nostro Paese sono così evidenti e macroscopici che dovrebbero bastare criteri elementari di efficienza e di giustizia per farne una narrazione capace di ottenere un largo consenso.
Sarà questa domanda di verità a mobilitare menti e cuori, oltre gli steccati, i partiti ed i leader politici e sociali di oggi. Come cittadini di questo Paese, nel contesto europeo, che è la nostra unica salvezza, dovremmo fare nostre le tre parole chiave di Max Weber: passione, responsabilità, lungimiranza.
Passione, superando la vecchia tentazione del potere fine a se stesso. Responsabilità, come unico criterio del proprio pensare, agire, decidere. E lungimiranza, cioè realismo, capacità di valutazione distaccata.
Un unico consiglio, per i politici seri, tenersi sul comodino il profondo saggio di Max Weber dal titolo emblematico “La politica come vocazione”.
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