Il presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato alla Camera come da calendario ma non ha replicato il suo discorso di ieri al Senato, ha semplicemente comunicato ai deputati che sarebbe salito al Quirinale da lì a poco. Nella mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il seguito degli eventi. Mattarella potrebbe accettare le dimissioni di Draghi e sciogliere le Camere (in questo caso Draghi resterebbe in carica solo per le questioni ordinarie); o potrebbe rifiutare le dimissioni e chiedere al presidente Draghi di restare in carica con pieni poteri, dato che al Senato il presidente del Consiglio ha incassato l’ok alla fiducia, seppure con un Governo di minoranza.
Quali riflessi sulla scuola? Lo abbiamo riferito più volte: a rischio l’attuazione del Decreto Legge 36 del 30 aprile 2022, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79. In altre parole, le sorti del Governo sono strettamente legate anche al mondo della scuola poiché la caduta di Draghi metterebbe rischio sia il rinnovo del contratto 2019-2021 (i sindacati temono che si freni sulla trattativa poiché le risorse con la nuova Legge di Bilancio sarebbero ad alto rischio); sia la riforma del reclutamento e della formazione docenti (i decreti attuativi, così come il Dpcm atteso entro il 31 luglio, potrebbero restare fermi al palo).
La Tecnica della Scuola sulla crisi di Governo ha interrogato i propri lettori: 6 docenti su 10 dicono no a Draghi, da quanto risulta nell’ultimo sondaggio cui hanno partecipato 1.500 lettori (dei quali 8 su 10 insegnanti). Perché il no a Draghi? Semplicemente e soprattutto perché gli insegnanti non vogliono più il ministro Patrizio Bianchi. Una bocciatura del Presidente del Consiglio che in realtà è una bocciatura del ministro dell’Istruzione.
Dalle posizioni emerse dal sondaggio, infatti, viene chiarito esplicitamente che il problema non è Draghi ma la riforma del reclutamento e della formazione docenti, che stravolge le regole del gioco senza portare granché in più nelle tasche degli insegnanti, i quali – occorre ricordarlo – a fronte di una preparazione universitaria di altissimo profilo, tra lauree, master, abilitazioni, corsi di specializzazione, restano tra le categorie remunerate peggio in Europa: il rapporto Eurydice ha rivelato questo proposito che ai nostri insegnanti viene corrisposto un importo annuale medio pari ad 8.000 euro in meno rispetto ai colleghi europei. E dopo un servizio di quindici anni il gap arriva ad 11.000 euro.
E il personale Ata non se la passa meglio: assistenti e collaboratori scolastici sono tra i meno pagati della PA. Non a caso uno dei commenti espressi nel sondaggio è: gli Ata percepiscono uno stipendio da reddito di cittadinanza.
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