Parlo dell’ipotesi di Mario Draghi, per ora appena abbozzata, di allungare il calendario scolastico sino a tutto giugno. Lo sappiamo, tanti docenti in tante scuole hanno fatto i salti mortali con la didattica a distanza, pur di garantire il migliore servizio possibile a tutti gli studenti.
Ma sappiamo anche altro: che, al dunque, non per tutti è stato un servizio a tutto tondo, anche per difficoltà strutturali, come la connessione. Per non citare criticità varie sulla qualità della didattica, nonostante il gran lavoro dei docenti e dei presidi, oltre sui profili psicologici degli studenti. È una proposta fattibile anche per un aspetto non a tutti noto: tutti i docenti sono in servizio sino al 30 giugno, anche quelli non impegnati negli esami di terza media e in quelli di maturità.
In poche parole, si potrebbero allungare le lezioni di due settimane, e lasciare l’ultima di giugno agli scrutini, con tutti presenti, e la prima di luglio agli esami di maturità, cosa che, sino a due anni fa, era abbastanza normale. Un esame limitato, come lo scorso anno. Ma sarebbe un bel segnale anche per la seconda proposta di Draghi: garantire l’avvio del prossimo anno scolastico con tutti i docenti in cattedra. È infatti scandaloso che da sempre, nonostante le iscrizioni si chiudano a gennaio, l’avvio di ogni nuovo anno sia precario, complicato, parziale, per l’assenza di docenti stabilizzati.
E per stabilizzarli è necessario che i concorsi siano fatti secondo i tempi previsti, sulla base dei posti disponibili. Una ovvietà, diremmo tutti, ma che ovvia non è. Ma per rendere possibile questa ovvietà, ecco la vera riforma, bisogna regionalizzare i concorsi, cioè su responsabilità delle regioni, come avviene già nelle province autonome di Trento e Bolzano. Il centralismo ministeriale oggi è un non-senso, su questi aspetti. In Italia, lo sappiamo, garantire l’ordinario sta diventando sempre più un atto rivoluzionario.
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