Mario Draghi, nominato dal Presidente della Repubblica per formare il nuovo Governo sembra avere le idee chiare sulla scuola e ben sapendo che da esse, da una buona gestione, dipende il futuro del Paese in termini di lavoro e avvenire dei giovani e non solo; ma è pure uno strumento da utilizzare contro “i divari geografici, generazionali e di genere”, mentre non si valorizza la formazione professionale e la ricerca, insieme allo scarso riconoscimento del merito”.
Partendo da queste premesse Mario Draghi, parlando coi gruppi parlamentari finora incontrati, ha dichiarato che il futuro Governo dovrà “rimodulare il calendario scolastico” dell’anno in corso, per recuperare i “numerosi giorni persi“.
Dunque c’è da ipotizzare che, appena la pandemia si allenta e le vaccinazioni raggiungono livelli significativi, la scuola sia invitata a tornare in presenza per più ore e forse anche nei periodi dedicati alle vacanze, fra cui Pasqua; e niente di strano che anche tutto giugno, compreso luglio possa rimanere aperta.
Ma c’è pure la possibilità che vengano proposti corsi di recupero pomeridiani o in orari extrascolastici. In ogni caso, se queste sono le intenzioni, dentro cui i primi a essere coinvolti sono i lavoratori della scuola, dovrà vedersela anche coi sindacati, sensibili sugli orari dei lavoratori e coi docenti che, è il caso di ricordarlo, anche in Dad hanno prestato servizio.
Ma avrebbe pure ricordato che ad inizio anno scolastico c’erano 10mila cattedre vacanti, una situazione cui va trovata una soluzione al più presto.
In attesa di vedere gli sviluppi futuri, ricordiamo che Draghi sulla scuola ha una sensibilità particolare, come ha più volte dimostrato nei suo interventi, fa cui viene spesso ricordato quello del settembre 2017 al Trinity College di Dublino: “I giovani non vogliono vivere di sussidi. Vogliono lavorare e accrescere le opportunità della loro vita”.
E l’impegno di chi governa è fare fronte, responsabilmente “a un’eredità di speranze deluse, rabbia e, in definitiva, sfiducia nei valori della nostra società e nell’identità della democrazia”. Fiducia da ricostruire, senza “alimentare false speranze” ma con indicazioni e scelte per speranze concrete”.
E al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini: bisogna investire nella scuola, nell’istruzione, nella formazione dei giovani, il “debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre”.
Insomma assai distante da quel “Con la cultura non si mangia”, detto in un momento di particolare crisi dell’Italia e infatti fu chiamato un Governo di tecnici per non farci cadere nel famoso baratro del “fallimento” di cui si parlava con toni di allarme.
A distanza di qualche decennio, siamo ancora in crisi, di Governo e di governabilità, tanto che è stato chiamato proprio Mario Draghi a portare la nave oltre gli scogli e verso un porto sicuro dove è in attesa un fondo europeo di 210miliardi di euro con cui si possono fare tante cose, almeno così dicono gli esperti.
Fra queste tante, c’è anche la scuola che però, da quando si è diffuso il contagio da Covid, è ribalzata all’attenzione dell’opinione pubblica, facendo nello stesso tempo capire che è “senza cultura che non si mangia”, esattamente all’opposto del teorema del 2008.
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