È rimasto deluso chi pensava che il premier Mario Draghi, parlando in Senato, si soffermasse sulle necessità di miglioramento del sistema d’Istruzione italiano: ha parlato di tante riforme da concludere per il bene del Paese, come quella sulle pensioni, sul fisco, ma anche delle responsabilità nel recepire i tanti fondi del Pnrr, fino a tanti contratti scaduti da tempo e mai rinnovati. La scuola, travolta della pandemia e con le performances dei suoi alunni in declino, è stata invece appena “sfiorata”.
Il settore è stato solo citato tra i comparti che negli ultimi quattro giorni si sono rivolti allo stesso Presidente del Consiglio perché desista dal suo intento di lasciare il Governo: una richiesta imponente e trasversale che, a suo dire, non può rimanere inosservata.
Poi, quando è entrato nel merito delle istanze, si è soffermato sulla richiesta formulata dai “quasi 2 mila sindaci” e dagli “eroi della pandemia che lavorano negli ospedali”. Stop.
Il Presidente del Consiglio ha quindi parlato dei comportamenti virtuosi tenuti dagli italiani nel corso della pandemia, nella campagna di vaccinazione e della accoglienza “spontanea offerta ai profughi ucraini, accolti nelle case e nelle scuole con affetto e solidarietà”.
“Mai come in questi momenti sono stato orgoglioso di essere italiano”, ha tenuto a dire il premier.
Sui comportamenti dei docenti e del personale Ata, invece, non ha detto nulla.
I motivi per farlo, tuttavia, erano diversi. Prima di tutto perché il settore, per mano di questo Governo, sta vivendo un’importante riforma, “figlia” della Legge 79/22, derivante dal DL 36, che intende rivedere due ambiti fondamentali per la nostra istruzione pubblica, quali le modalità di assunzione del personale docente e la formazione iniziale e permanente, che diventa obbligatoria ma anche un canale per arrivare a degli incentivi di alcune migliaia di euro ogni tre anni. Senza dimenticare altre novità importanti introdotto nell’ultimo periodo, come il potenziamento degli Its, trasformati in Academy e potenzialmente decuplicati.
In secondo luogo, perché la scuola con oltre 15 miliardi di euro, è uno di quei settori pubblici che recepirà più risorse dal Pnrr: un cenno su come saranno spesi così tanti soldi (212 nuovi istituti, asili nido, formazione e tanto altro), a molti sembrava opportuno.
Quel silenzio sulla scuola, nel discorso del premier ai senatori, non è passato inosservato a qualche addetto ai lavori.
“Ma la scuola non doveva essere tra le priorità del Governo? Perché Draghi non l’ha elencata tra le istituzioni da rifondare e in cima alle priorità nella lista delle azioni del suo Governo”, ha chiesto un lettore della Tecnica della Scuola.
“I problemi sono notevoli e se non verranno affrontati si rischia di partire per il terzo anno consecutivo in modo del tutto inadeguato a rispondere alla pandemia e a migliorare l’offerta formativa, oltre che per ridurre l’abbandono scolastico”, ha commentato Marcello Pacifico, a capo dell’Anief.
Se Draghi non parla della scuola, il personale scolastico invece giudica Draghi. E ben 6 docenti su 10 dicono no alla sua permanenza a Palazzo Chigi: lo dice l’ultimo sondaggio della Tecnica della Scuola, cui hanno partecipato 1.500 lettori (dei quali 8 su 10 insegnanti). Perché il no a Draghi? Semplicemente e soprattutto perché gli insegnanti non vogliono più il ministro Patrizio Bianchi, fautore della riforma del reclutamento e della formazione dei docenti legata al Pnrr.