Nel suo discorso alle Camere Draghi ha parlato di scuola, evidenziando fra l’altro i “disagi” e le “diseguaglianze” della didattica a distanza, tanto da richiedere quanto prima il ritorno a “un orario scolastico normale per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno”.
A sostegno di questa affermazione ha portato un esempio:
“Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza”.
Sono numeri che andrebbero chiariti riguardo alla fonte che li ha forniti e spiegati meglio, perché così sono abbastanza incomprensibili.
– Prima di tutto, nelle scuole secondarie di II grado, gli alunni sono 2.635.110 e non 1.696.300. Questo è il dato ufficiale, riportato sul Focus “Principali dati della scuola, anno scolastico 2020/2021”, pubblicato dal Miur a settembre 2020.
– In secondo luogo, se fosse vero che, nella prima settimana di febbraio, solo “il 61,2% del totale ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza” sarebbe la debacle assoluta della scuola italiana.
– La “prima settimana di febbraio” di cui si parla, non può che essere riferita all’anno in corso, perché nel 2020 la sospensione delle attività didattiche è scattata dal 5 marzo, e solo dopo i dirigenti scolastici hanno attivato la didattica a distanza. Nel corrente anno scolastico, dal 1° febbraio quasi tutte le regioni hanno riaperto le scuole superiori con la presenza in classe degli studenti dal 50 al 75%, secondo le disposizioni del Dpcm del 14 gennaio. Forse il numero riportato da Draghi si riferisce agli alunni in Dad mentre gli altri erano in presenza? Il punto è oscuro.
Certamente la Dad non ha raggiunto tutti gli studenti in tutte la Regioni d’Italia, specialmente all’inizio, quando l’epidemia ha colto alla sprovvista e si è venuta a creare una forte disparità tra le scuole con esperienze pregresse, buona dotazione tecnologica e docenti formati all’uso delle nuove tecnologie e le scuole che movevano i primi passi.
Ma poi l’impegno è stato notevole. Da un lato il ministero dell’istruzione ha stanziato circa 180 milioni per l’acquisto di tablet, computer e schede per la connettività. Dall’altro la stragrande maggioranza dei docenti si è rimboccata le maniche per affrontare l’inedita situazione. Rimane tuttavia il problema delle infrastrutture, che dipendono dagli enti locali, e interessano tanto le scuole quanto le famiglie.
Quanti sono gli studenti rimasti fuori dalla Dad? Negli ultimi mesi i media hanno riferito di alcune ricerche, tutte comunque piuttosto parziali.
Il 9 giugno 2020, il Censis ha pubblicato “La scuola e i suoi esclusi”, indagine condotta su un campione di 2.812 dirigenti scolastici (più del 35% del totale) e realizzata tra il 10 e il 27 aprile 2020, cioè nel periodo più critico. Da allora, in tutte le scuole, la situazione è enormemente migliorata e lo scenario è in continua evoluzione.
Ebbene, nel periodo più difficile, il 60,2% dei dirigenti scolastici ha dichiarato che è rimasta fuori dalle attività didattiche a distanza un percentuale di studenti tra lo 0% e il 5%. Il 39,9% ha invece indicato una percentuale dal 5% a oltre il 10%, con tassi più elevati nelle aree a Sud del Paese. Maggiori difficoltà di coinvolgimento sono emerse nelle scuole del primo ciclo. A essere molto più penalizzati sono gli alunni con disabilità. Secondo l’indagine dell’Istat “L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità”, condotta tra aprile e giugno 2020, risulta che oltre il 23% di loro non vi ha preso parte.
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