Si è soffermato in modo considerevole sulla scuola il neo premier Mario Draghi durante il discorso programmatico in Aula al Senato. E non ha detto cose banali. Anzi: ha espresso concetti che fanno pensare ad una piccola rivoluzione in arrivo.
Partendo dal concetto che la DaD aumenta il gap di apprendimenti tra gli alunni (“soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà” perché “pur garantendo la continuità del servizio, non può non creare disagi ed evidenziare diseguaglianze”) e non è paragonabile alla didattica in presenza, il nuovo capo del governo ha detto che bisognerà far tornare in classe il prima possibile tutti gli studenti.
Sempre tenendo alti i parametri di prevenzione del Covid, il prezzo da pagare sarebbe quello di insistere nella diversità delle fasce orarie. Quindi aprendo alla didattica e alle lezioni di pomeriggio.
“Dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie”, ha ammesso lo stesso Draghi.
E la novità non sarebbe di poco conto. Perché da gennaio l’orario di entrata nelle scuole superiori è già stato sfalsato di un paio d’ore (prevalentemente con il 40% degli alunni in entrata attorno alle ore 10).
Quindi, viene da pensare che il riferimento di Draghi possa essere ai doppi turni di lezioni. Una eventualità decisamente più impegnativa dell’attuale, visto che per organizzare una scuola del genere (con lezioni di mattina e pomeriggio) non basteranno di certo i docenti di potenziamento e i cosiddetti Covid. Serviranno quindi non pochi supplenti aggiuntivi, anche tra gli Ata.
Come servirà rimboccarsi le maniche, oltre che investire un bel po’ di quattrini pubblici, per preparare decine di migliaia di plessi alle lezioni d’estate.
“Allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia”, così come detto da Mario Draghi, significa infatti permettere di attuare la didattica ben oltre i primi di giugno, quando è prevista da decenni la fine naturale delle lezioni: l’obiettivo potrebbe essere quello di fare lezioni in presenza sino alla fine di giugno.
Una eventualità che, come abbiamo più volte ricordato, non può tuttavia prescindere dall’allestimento di centinaia di migliaia di condizionatori d’aria da distribuire nelle aule scolastiche.
Le loro installazioni, è vero, potrebbe arrivare con i fondi del Recovery plan: solo che i tempi degli stanziamenti con quelli degli acquisti dei condizionatori rischiano di non essere funzionali allo scopo.
Riteniamo, alla luce delle temperature roventi che si raggiungono nelle nostre scuole già nella prima decade di giugno, che non si possa farne a meno.
Detto che l’Italia figura tra i Paesi dove si fanno più giorni di scuola l’anno, quindi in condizioni normali non appare necessario incrementarli (al massimo si potrebbero ‘spalmare’ diversamente), più di qualche dubbio in merito è stato comunque già espresso anche dai genitori.
L’ipotesi di prolungamento dell’anno scolastico fino al mese di luglio è stata una delle domande poste dall’Eurispes nel corso di realizzazione del Rapporto Italia 2020, giunto quest’anno alla 32esima edizione: ebbene, solo il 32,9% degli intervistati ha detto di essere d’accordo.
Evidentemente, avevamo già commentato, le famiglie sanno bene quali sono le difficoltà a svolgere 6 e più ore di lezione in condizioni di calura estrema.
Come avevamo già fatto notare che per spostare la fine dell’anno di tre settimane bisognerebbe anche posticipare gli Esami di Stato, che in questo modo slitterebbero anch’essi ad agosto.
E se ad agosto si dovrà ancora stare a scuola, gli insegnanti e il personale Ata quando potranno fruire dei 32-36 giorni ferie previsti dal contratto collettivo nazionale? Sono domande a cui presto il governo, ma prima ancora nuovo ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, dovrà per forza di cose rispondere. Non sarà facile.
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