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Dress code a scuola, ecco cosa pensiamo noi prof

Della questione della circolare sul dress code al Liceo Chiabrera-Martini hanno scritto e parlato tutti: studenti, genitori, dirigenza giornalisti, e personaggi politici.

Manchiamo solo noi insegnanti. Strano, eh?

A pensarci bene sui media tutti parlano di scuola: sociologi, psicologi, tuttologi, massmediologi, nientologi, tutti a spiegare come si fa scuola, ovviamente senza essersi mai seduti a una cattedra.

Tutti meno gli insegnanti. Quelli in tv non li invitano mai.

Strano eh? Non è che hanno paura di noi?

Eppure la scuola la facciamo noi Prof con i nostri libri noiosi e i continui richiami al rispetto individuale e collettivo. Ogni giorno siamo lì quando mangiano, (per lo più schifezze) cercano il cellulare come la coperta da Linus e naturalmente li vediamo sfoggiare mise che ci fanno sentire risalenti ad altre ere geologiche.

Le ragazze mettono in mostra la pancia e questo in spregio a qualunque legge di natura che dovrebbe per lo meno regalare loro congestioni e coliti continue. Poi hanno i famosi leggins attillati. Citiamo questo capi perché sono quelli che hanno fatto indignare insegnanti e dirigenti in diverse parti d’Italia.

In realtà, queste mise, noi insegnanti circolano da anni in tutte le scuole d’Italia. Probabilmente è diminuita la parte di tessuto ma non sta a noi insegnanti misurare i centimetri di top, a noi toccano i cervelli e scusate se è poco.

Idem per i jeans che sembrano trattati con le cesoie e che mostrano le gambe di maschi e femmine.

Troppa gamba? Aspettiamo un regolamento nazionale che precisi in merito. Noi non siamo pagati per fare anche questo. I ragazzi hanno già abbastanza problemi da condividere con noi (oltre al poco studio, si intende) per lasciarci anche il tempo per giudicare l’adeguatezza del loro abbigliamento. Vediamo centinaia di studenti ogni giorno da anni, credeteci, ai loro pezzi di vestiti non facciamo più caso.

Questi compiti li lasciamo volentieri a chi Sta Più in Alto e ha tempo per fare il censore.

Quello che noi vediamo da sempre addosso ai giovani ha un nome: Moda.

Una macchina da soldi, certo ma, per diventarlo, soprattutto in passato ha dovuto interpretate le tendenze sociali e la mutevolezza dei tempi, come tutte le forme di espressione sociale, d’altra parte.

Anche la Moda ė comunicazione, dunque. Ti piace? La segui? La vuoi personalizzare? Meglio ancora. Addosso ai ragazzi vediamo messaggi precisi: voglio adeguarmi, voglio distaccarmi dalla massa, soffro, sto bene da sola, sono felice, cerco l’amore o semplicemente non seguo le tendenze perché a me la congestione viene eccome.

Si vestono poco? Scusate ma non lo dicevano anche della minigonna mezzo secolo fa? E i carabinieri che misuravano i costumi da bagno sulla spiaggia? E il topless?

Alla fine tutto diventa parte del tutto. Noi Anta lo sappiamo. Una volta che le donne hanno indossato qualcosa di rivoluzionario niente è più lo stesso. Pensate al Bikini. Chi se lo ricorda più che il nome é legato ad un esperimento nucleare a cui il fenomeno sociale venne accostato per i suoi effetti esplosivi?

Ed ecco la circolare. Nel 2023. Gli abiti offendono?

Ne abbiamo parlato tra di noi, qua al Chiabrera-Martini, in sala prof e nei corridoi. Lo abbiamo fatto sottovoce, chissà perché? Non è che abbiamo paura?

Ogni mise ha il suo perché. Spesso è provocatoria per la società, ma se così non fosse allora i giovani a cosa servirebbero? Le ragazze, comunque si vestano, non offendono le culture non occidentali, così come non si sentono minacciate da chi appartiene ad altre culture. Il mondo é cambiato.

E noi lo abbiamo davanti tutti i giorni.

I giovani che abbiamo in classe si conoscono da sempre, elementari, medie, società sportive. Che vadano o non vadano d’accordo non è mai per appartenenze a culture diverse. Questa questione, ci piaccia o no è un problema di noi adulti.

In nessun modo alcun docente di questa scuola ha mai neppure considerato l’idea di un possibile problema culturale legato all’abbigliamento delle ragazze. Neanche per un attimo. E nessuno ha mai udito alcuna lamentela in proposito.

La contestazione dei ragazzi, va rispettata (e così è stato) perché si trattava di difendere un loro diritto. Dovranno farlo spesso, visti i tempo in cui viviamo. Giusto che inizino presto.

Noi italiani, ci siamo battuti per i ottenere i diritti di cui adesso godiamo ma adesso ci rendiamo conto di dover ricominciare tutto daccapo. I diritti si difendono e non vanno mai dati per scontati. Anche a scuola.

Con osservanza.

Una folta rappresentanza di insegnanti del Liceo Chiabrera-Martini

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