La droga è a scuola. Non solo davanti, intorno, vicino, ma anche dentro. Dice Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione: “La scuola è la piazza principale dello spaccio. Questa è una vera emergenza, non si tratta più ormai solo di casi sporadici, ma della normalità. Però siamo impreparati, serve l’aiuto di tutti, una vera e propria alleanza tra famiglia, scuola e Stato”
Anche perché, «non esiste un piano organico nazionale» e quindi ognuno fa un po’ per sé. La sensibilità è sicuramente aumentata con il 43% delle scuole italiane che ha attività specifiche per la prevenzione, percentuale in crescita e che tocca il 51% delle superiori; lì il 33% organizza anche percorsi per genitori, come corsi di formazione o incontri con addetti ai lavori.
Sul Corriere della Sera la denuncia del sottosegretario Toccafondi, alla quale si aggiunge quella di un preside: «Sono per una collaborazione con le forze dell’ordine ma non con le perquisizioni, che utilità hanno? Nella mia scuola non voglio vedere cani puntati contro un ragazzo, non fa bene a nessuno. I ragazzi sono fragili, hanno bisogno di supporto e la lotta alla droga si fa creando un ambiente accogliente: ho disseminato la scuola di figure che aiutano». «Se metti delle antenne, loro prima o poi le captano, bisogna lavorare su affettività ed emotività, rompiamo l’idea che la scuola sia solo trasmissione di conoscenza».
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«Dimentichiamoci lo spinello di Woodstock», dice Toccafondi, «quello che arriva in mano ai ragazzi è molto più pesante». Lo spinello, aggiunge un esperto, è solo «la droga di entrata», poi dai 15 anni si apre il grande mercato sul web: «Sostanze chimiche, sintetiche, da sole o associate a farmaci».
Il problema, viene scritto su Corriere, «è che non sapendo cosa c’è in quella roba, non si sa come intervenire o addirittura si rischia di fare peggio, ci sono delle droghe capaci di modificare il dna»: un’altra esperta precisa che “i ragazzi sanno muoversi benissimo trovando una piazza di commercio enorme», droga di tutti i tipi, ma anche pedofilia e illegalità di ogni genere.
Tutta la comunità educante deve essere allertata ed è stata lanciata la app «Giù le mani dai nostri figli», dove trovare informazioni e chiedere aiuto. Non bastano le forze dell’ordine, le prediche e il controllo, riflette una preside. «Bisogna lavorare da dentro, seguire i ragazzi, farli sentire meno soli, noi facciamo il possibile e spesso è un Calvario, però poi i risultati ci sono».
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