Fa pensare l’incremento esponenziale di alunni con disabilità, a fronte di un numero complessivo degli alunni frequentanti il sistema scolastico ridotto di diverse decine di migliaia: si è passati, in un decennio, dai 167.804 allievi “certificati” dell’a.s. 2004/05 ai 234.788 dell’a.s. 2014/15, con un incremento che rasenta il 40%.
Parallelamente, si è riscontrato un vero e proprio boom di diagnosi di iperattività e di deficit di attenzione – ADHD – e di autismo, ma anche di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) come dislessia (che riguarda la lettura) e discalculia (attinente ai calcoli), che non implicano il docente di sostegno, ma comunque sempre dei piani didattici personalizzati (con misure dispensative e compensative).
Secondo Daniele Novara, pedagogista che dirige il Centro Psicopedagogico per l’Educazione e la Gestione dei Conflitti, non vi sarebbe un corrispettivo aumento di tali disturbi negli altri paesi europei: il rischio, dice il pedagogo all’Ansa, è di essere in realtà di fronte a eccessi diagnostici, legati alla tendenza crescente di scuole e famiglie a scegliere la via dell’analisi della salute neuropsichiatrica del bambino, piuttosto che andare a indagarne la gestione educativa in famiglia e supportare quest’ultima in modo adeguato.
I disturbi specifici di apprendimento, continua Novara, sono deficit neurofisiologici che al massimo arrivano a colpire l’1,5-3% dei bimbi, mentre i dati scolastici italiani sono 4-5 volte superiori alle previsioni mediche e in aumento; si può arrivare a un 10% di dislessici, ovvero 2 bambini in una classe di 20 alunni.
La conclusione dell’esperto, dopo aver sottolineato l’incremento sostanzioso dei costi da affrontare da parte dei Comuni italiani, è che “c’è il rischio che qualcosa come 3 su 4 diagnosi di DSA siano in realtà sbagliate, un eccesso diagnostico che non fa bene né al bambino né alla società”.
Si può essere d’accordo o meno con questa posizione. Una cosa è certa: il dibattito sul fenomeno è aperto più che mai.
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