Qualche giorno fa mi è capitato di leggere l’intervento di un lettore dal titolo “DSA e BES: esagerazione o segno di grande evoluzione sociale?”.
Il lettore, nella sua apparentemente approfondita e logica disamina, lamentava l’eccesso di protezione della legge 170/2010 nei confronti degli studenti con DSA e BES.
Secondo il suo argomentato punto di vista tale legge spinge questi studenti a rilassarsi e adagiarsi sul loro disturbo, anziché venir spronati a “competere con tutti gli altri” e a migliorarsi per “cercare di correggere” il loro gap.
Quindi, per farci meglio capire questo concetto, ci spiegava con una apparentemente arguta metafora che si sarebbe dovuto prendere ad esempio l’abnegazione e l’impegno degli atleti paralimpici, i quali “ci offrono una visione alternativa di come porsi di fronte ad un problema di disabilità vera e propria”.
Ora, cogliendo a pieno la forza della metafora dell’atleta paralimpico, che ci fa effettivamente capire ciò che la forza d’animo e lo spirito di competizione possono far raggiungere all’essere umano, vorrei continuare e far mio questo parallelismo per evidenziare che l’immagine evocata è tanto forte quanto non applicabile all’oggetto dell’argomento, ovvero gli studenti DSA all’interno del sistema scolastico.
Infatti, l’atleta paralimpico si impegna e si allena assiduamente per competere e raggiungere i suoi risultati, ma compete giustamente con altri atleti disabili. Non solo, in alcuni casi, all’interno di una stessa disciplina, le gare vengono suddivise tra atleti con lo stesso tipo di disabilità. All’atleta paralimpico, anche con grande impegno, risulterebbe molto difficile competere con i suoi colleghi normodotati. E se mai si dovesse pensare di far gareggiare insieme atleti disabili e normodotati, non sarebbe forse opportuno immaginare dei correttivi per consentire una gara ad armi pari? C’è veramente qualcuno che pensa che con il solo impegno si possa eliminare il divario di una disabilità?
Uno studente DSA senza strumenti compensativi e dispensativi è come un atleta paralimpico, che però deve competere con atleti normodotati: non basta più il solo impegno!
Lo studente DSA non gareggia in una paralimpiade, tra atleti con lo stesso tipo di disabilità. No, egli sta nello stesso sistema scolastico creato per chi non ha problemi di apprendimento, con insegnanti che troppo spesso pensano che la cura sia spronare lo studente a fare di più, come se quello bastasse, come se le ore passate a studiare senza risultati proficui non fosse già sufficiente ad acuire il loro senso di frustrazione.
È evidente quindi che chi si immagina lo studente DSA come l’atleta paralimpico, che al culmine di sforzi e sacrifici può persino arrivare a vincere la medaglia d’oro, o non sa di cosa sa sta parlando oppure, se lo sa, non ha idea di quale siano gli strumenti per far tirare veramente fuori a questi ragazzi tutte le loro potenzialità che, quelle sì, potranno un giorno portarli a conquistare la loro medaglia nella vita.
Adriano Benigni
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