Un fatto avvenuto in una scuola di Roma ha sollevato un vero e proprio polverone. All’ICS Via Tiburtina Antina Borsi – Saffi, secondo quanto riporta Il Corriere della Sera, è stato somministrato un “questionario sul comportamento del bambino” ai genitori delle classi di seconda elementare.
Nel documento, questo è ciò che ha scatenato le polemiche, vengono invitati i genitori a indicare il “gruppo etnico o razza del bambino“. Si tratta di test standard che rientrano tra gli strumenti utilizzati per l’individuazione precoce dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) come la dislessia, la disortografia o la disgrafia, forniti alla scuola a titolo gratuito e volontario dal Centro Clinico Marco Aurelio.
Sono le parole “razza” e “etnia” ad aver scandalizzato alcuni genitori. “La scelta delle parole non è inclusiva”, dice la nonna di due alunni. Suo marito è d’accordo: “Se mi trovassi di fronte il questionario, chiederei subito spiegazioni agli insegnanti”. Resta più moderata invece la figlia: “Possono essere fastidiosi da leggere per qualcuno – sostiene – ma non credo che utilizzati in ambito scientifico possano essere ritenuti razzisti”.
In molti hanno comunque criticato la semplice scelta delle parole: “Sì, avrei dovuto toglierle. Semplicemente non ci ho pensato, proprio perché in buona fede. Per non porre limiti alle future eventuali diagnosi di DSA per i bambini abbiamo avuto un’attenzione maggiore, che poi è diventata un limite”, ha detto Giuseppe Romano, psicologo e psicoterapeuta del Centro Clinico Marco Aurelio.
E sottolinea il dirigente scolastico, Marcello Di Pasquale: “È il secondo anno che diamo l’opportunità alle famiglie di fare questo test e nessuno si è mai lamentato. Anzi abbiamo sempre avuto riscontri positivi. Non c’è alcun intento discriminatorio”.
La docente Antonia Ronchi, maestra di seconda elementare, ha detto: “Non ci ho trovato nulla di razzista, per i bambini è un’opportunità. Basta entrare nelle nostre aule per capire il livello di inclusività di questa scuola”. Tra i genitori che hanno aderito all’iniziativa c’è Antonella Catalini, che fa parte del Consiglio d’Istituto da diversi anni. “Leggere la parola razza fa strano, è vero”, premette. Dopo però aggiunge: “Mi sembra un aiuto utilissimo da parte della scuola, sia a livello divulgativo che economico. Non mi soffermerei su una parola, sollevando un polverone in una scuola in cui evidentemente non c’è un problema di razzismo”.
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