L’estrema importanza dell’insegnamento nella vita dell’uomo, la sua incidenza sempre più marginale nel progresso sociale e la sofferenza di una scuola per troppo tempo ignorata, abbandonata, indifesa, colpevolizzata, delusa, afflitta, depressa, sono oggetto di frequenti considerazioni, riflessioni, commenti, spesso negativi, e suggerimenti arbitrari da parte di opinionisti, giornalisti, filosofi, psicologi, psicoanalisti ecc. che, generalmente, conoscono le problematiche educative solo in modo esteriore, non diretto e parziale.
Si può dire, che il mondo culturale e sociale, pur non avendo concreta esperienza dell’attività educativa e didattica, sente il dovere di inserirsi sempre più attivamente nel dibattito pedagogico e, perciò, vuole avere un suo compito specifico in ordine ai problemi, al progresso e allo sviluppo dell’educazione.
Occorre constatare che la complessità scolastica, nelle sue varie sfaccettature, è ritenuta, anche dai non addetti ai lavori, materia utile e importante per inserirsi attivamente nelle diverse sfere dell’umana convivenza e nelle teorie sull’educazione.
Nell’intreccio delle differenti tematiche e nel contraddittorio succedersi delle varie antropologie, psicologie e pedagogie, l’educazione è una dimensione unica ed originale della persona che non può non tener conto delle infinite risorse dell’essere umano, del suo modo di essere e di agire nella vita sociale.
Purtroppo, la scuola è confusa, gli stimoli formativi costretti ad emigrare e ad allontanarsi dai solchi già tracciati, la gioia di educare si è sbriciolata e viviamo in un’epoca di indebolimento generalizzato di ogni autorità e di ogni forma di educazione degna di tale nome.
Oggi segnaliamo una crisi senza precedenti del discorso educativo dovuta ad “uno dei nemici più acerrimi del lavoro dell’insegnante: la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso… Un sapere di questo genere non può essere assimilato senza generare un effetto di soffocamento, anoressia intellettuale, disgusto” (M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014, pagg. 6-7).
Spaziando dalla filosofia alla psicologia, nel tentativo di rilanciare e rinnovare la pratica didattica, Recalcati propone un modello di scuola che non inquadra, non uniforma, non produce scolari, ma anima il desiderio di sapere attraverso un insegnamento che vede nell’ora di lezione un vero incontro che genera trasporto ed è profondamente erotico.
Indubbiamente fascinosa, ma poco concreta ed efficace l’idea di una pratica didattica che seduce e di una erotica dell’insegnamento che anima il desiderio di sapere.
Un’ora di lezione non può cambiare la vita e la possibilità di rendere l’educando autore del proprio bene e, quindi, capace di decidere la direzione del suo itinerario educativo, certamente, non viene – come sostiene Recalcati – dalla possibilità di trasformare gli oggetti del sapere in corpi erotici, ma dalla dimensione agapica dell’educare, che è un processo che non ha termine e continua fino a quando non c’è più niente da “tirar fuori”, da svolgere, da far emergere.
I valori tradizionali (famiglia, fedeltà, disciplina, studio, ordine, sforzo, sacrificio) tramontano e crollano, mentre crescono le nuove mode del momento (empatia, erotica dell’insegnamento, emotività, affettività ecc.) e si radicano profondamente nella pratica educativa e didattica senza, tuttavia, riuscire a dare concretezza, unità e forma al sapere e alla conoscenza.
Ciò che manca alla scuola non è la fedeltà, il rispetto, l’amore, la comunicazione, l’apertura, la vera amicizia, ma una “Pedagogia comunitaria”, una “Comunità educante” che sostenga l’apprendimento a livello scientifico e pratico, sviluppi una adeguata azione educativa, un precipuo stile di convivenza contraddistinto da unità di fini, di pensiero e dallo spirito di collaborazione tra i suoi membri.
Caratteristica della comunità educativa è la partecipazione attraverso la quale il soggetto si responsabilizza, diventa capace di programmazione con gli altri, comprende la specificità del proprio ruolo e rispetta quello altrui.
La scuola si caratterizza, dunque, come un sistema aperto ad ogni problema sociale e individuale, ad ogni forma di positiva novità, e richiede alle singole personalità lo sviluppo di atteggiamenti critici, innovativi e partecipativi per la trasformazione e l’arricchimento della vita sociale (R. Zavalloni-L. Perfetti, Metodologia dell’Educazione comunitaria, La Scuola, Brescia 1978).
Sarebbe un errore concepire il cammino educativo come un semplice processo di coinvolgimento erotico-emozionale.
Il momento fondamentale del percorso formativo non è semplicemente un atteggiamento passionale, un cambiamento di prospettiva, ma implica una svolta completa, un momento di “rottura”, un salto di qualità che non risparmia, non ribassa, ma ha il coraggio di proporre con fermezza il proprio itinerario, anche di fronte al rischio di un rifiuto.
L’educazione, dunque, non deve essere soltanto genericamente attenta al processo generale di sviluppo, ma ai passaggi difficili e rischiosi in cui, nei ragazzi, avviene quella che potremmo chiamare la presa di coscienza di sé come totalità.
Il cammino educativo non ha mai uno svolgimento tranquillo ed è sempre segnato dalla resistenza e dalla ribellione. Per questo, l’educatore, al di là delle suggestive teorie relative alla seduzione del sapere, dovrà continuamente domandarsi qual è il momento in cui poter chiedere al ragazzo di prendere decisioni importanti per la sua vita, prepararlo a questo momento, accompagnarlo e guidarlo nelle sue scelte.
Soltanto così il processo educativo, nella giungla delle vicende storiche più strane, appare in tutto il suo realismo.
In un tempo in cui educare è sempre più difficile abbiamo bisogno di educatori non molli o accondiscendenti, non rassegnati o fatalisti, ma impegnati, decisi, capaci anche di rimproverare.
Fernando Mazzeo
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