Proprio mentre il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara discute proposito del docente tutor, figura che dovrebbe occuparsi anche della valorizzazione dei più meritevoli a scuola, arriva la testimonianza di un ragazzo che non si è sentito per nulla valorizzato, anzi.
Matteo Fabbri, intervistato da La Repubblica, ha 24 anni e sta facendo il dottorato in Cyber Security, dopo la laurea in Filosofia a Bologna e la magistrale alla Normale di Pisa conseguita contemporaneamente al Master of Science in Social Science of the Internet a Oxford.
Una carriera brillante che è sbocciata, però, lontano dai banchi di scuola. Matteo, infatti, al terzo anno del liceo classico, all’Ariosto di Ferrara, ha deciso di lasciare continuando da autodidatta. Il motivo? “Essere troppo intelligenti era un problema”, ha detto.
Ecco l’esperienza del ragazzo a scuola: “Ero bravo e non lo nascondevo, dal secondo anno ho cominciato a subire atti di bullismo da parte dei miei compagni, offese mai dirette ma che mi pesavano in un contesto in cui ero isolato. Non condividevo interessi con nessuno della classe, loro andavano in discoteca o al cinema, io avrei preferito fare pratica di latino parlato. Ho sofferto molto per questo isolamento, anche i professori hanno cominciato a non considerarmi più, mi dicevano che ero un giudice tagliente e implacabile perché a volte correggevo anche loro”.
Bullismo da parte dei compagni di classe e scarsa considerazione da parte dei docenti, che non sono riusciti a far sentire a proprio agio lo studente. “Non venivo valorizzato per le mie capacità, avevo bisogno semmai di programmi accelerati, mi hanno ignorato. Non mi lasciavano più nemmeno parlare, una sofferenza per me, mi chiedevo: allora perché studio? E quando smarrisci il senso perdi ogni motivazione. Alla fine del terzo anno ho lasciato”, ha aggiunto.
Ecco come ha affrontato gli esami di maturità: “Perché ero stato affossato come persona da un sistema scolastico che non era fatto per chi è come me, ero in crisi e avevo paura di ritrovarmi nella stessa situazione in altri licei. così ho studiato da solo, a casa, coi libri e i programmi che sapevo di dover seguire. Mi ha pesato la solitudine, lavoravo come collaboratore di un giornale locale e frequentavo un gruppo sportivo. Alla Maturità mi sono presentato da candidato esterno, mi sono diplomato con 95, un risultato definito da un commissario di latino e greco ‘più unico che raro’ per un autodidatta”.
Secondo il 24enne la scuola italiana non è al momento capace di accogliere e far fiorire il merito: “E’ la mancanza di un senso nello studio che ti fa lasciare. La scuola alle persone sfiduciate dovrebbe indicare una direzione. Io la vedevo e volevo che non mi frenassero in questo. Altri avrebbero bisogno di sostegno d’altro tipo, invece in classe sei schiacciato dall’uniformità, è richiesto qualcosa che non è motivato da un discorso valoriale. Lo trovo sbagliato: gli studenti non sono tutti uguali, c’è chi fa fatica e chi vuole accelerare, penso che la didattica dovrebbe essere personalizzata, questo significa valorizzare il merito: non permettere che nessuno lasci”.
“La mia storia è fatta di sofferenza, ma anche di volontà di essere riconosciuto per i miei meriti. Sono figlio di genitori non laureati, per mancanza di opportunità di orientamento anche dopo il diploma ho avuto un inizio di università difficoltoso che mi ha portato a iscrivermi a Giurisprudenza e poi a cambiare. In questi anni mi hanno aiutato psicologi e l’associazione per lo sviluppo del Talento Aistap e la mia strada l’ho trovata. Ma la scuola? Mi ha umiliato e rifiutato”, ha concluso.
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