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Due minorenni su tre giocano d’azzardo: la pubblicità causa prima

Due ragazzi su tre, tra i 13 e i 17 anni, giocano d’azzardo almeno una volta l’anno nonostante i divieti per legge. Lo rivela una ricerca condotta dalla Caritas di Roma su un campione di 1.600 giovani.

La pubblicità tra i motivi principali

Stando ai risultati del dossier ad avvicinare i giovanissimi al gioco sarebbe la pubblicità veicolata attraverso televisione, internet o bar-tabacchi. Dall’indagine emerge che quasi tutti gli intervistati conoscono i giochi d’azzardo: in particolare i ragazzi romani conoscono gratta e vinci (94,8%), Lotto e Superenalotto (90%), lotterie (89%), scommesse sportive (86,8%), slot machine (86,8%) e il bingo (84,1%). Secondo gli intervistati i giochi maggiormente praticati tra i minorenni sono le scommesse sportive (88,3%), seguito dal Gratta e vinci (48%), più praticato dalle ragazze. Lo strumento più utilizzato per accedere ai giochi d’azzardo è, inevitabilmente, lo smartphone, utilizzato dal 69% degli intervistati.

La ricerca

La ricerca, dal  titolo “Adolescenti e azzardo: cresceranno dipendenti?”, rivela come per i minorenni il gioco d’azzardo, sia «qualcosa di conosciuto, in un certo senso familiare, legittimato dalla pubblicità televisiva e anche dal comportamento di parenti e amici».

Stando ai numeri del Cnr, nel 2017, 580 mila minori (il 33,6%) hanno giocato.

Nonostante le leggi sempre più stringenti, però, il sistema di protezione dei minori contro il gioco d’azzardo sembra non funzionare. Oltre un terzo dei giovani intervistati, infatti, ha un luogo di gioco a 5 minuti da scuola. Ma, comunque, attraverso l’online ha accesso a tutto quello che desidera in ogni momento.

L’azzardo e la fortuna

Quasi il 90% definisce l’azzardo «un’attività in cui si utilizza del denaro per vincerne altro, affidandosi alla fortuna». Tutto è centrato sul denaro, «quasi una metafora lucida del modello socioculturale in cui siamo immersi». Il 38,5% riconosce l’esistenza di rischi ma afferma che stando attenti non succede niente. «Evidentemente – spiega la ricerca – i fattori protettivi non stanno funzionando».

Pasquale Almirante

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