Da tempo si parla di una vera e propria emergenza educativa post Covid, visti i numerosi episodi di violenza e che vedono come protagonisti giovanissimi alle prese, evidentemente, con un forte disagio e malessere. I docenti, come ci hanno raccontato, si trovano gestire spesso situazioni complesse: per questo molti di essi si sentono quasi in trincea, in pericolo in prima persona.
Due docenti, Anna Rosa Besana e Rossella Gattinoni, che insegnano Lettere all’IISS A. Greppi di Monticello in Brianza (Lecco), hanno espresso le loro sensazioni facendo un’ampia riflessione a Il Corriere della Sera. Secondo le due, molto sarebbe da additare al Covid, che ha avuto conseguenze da non sottovalutare nel sistema scolastico e nell’animo e nella psiche degli stessi studenti.
“Anno nuovo, vita nuova anche per la scuola? Così sembrerebbe, se si considera, tanto per cominciare, il recente cambio di nome del Ministero dell’Istruzione in Ministero dell’Istruzione e del Merito, di cui tanto si è dibattuto: merito di chi e per chi? Ma non è del merito ciò di cui si vuole disquisire. In termini di bilancio ‘midterm’ dell’anno scolastico, altre sono le questioni cogenti che chiedono risposte tempestive che vadano al cuore della questione scuola post-dad: in primis, le relazioni tra docenti e alunni, non esclusi gli altri attori coinvolti nel processo educativo”, hanno esordito. Per le insegnanti è il rapporto tra docenti e alunni che dovrebbe essere attenzionato dal ministero.
Secondo le due, per gli insegnanti il lavoro è diventato sempre più difficile: “Mai visto studenti così deprivati e immaturi da un punto di vista dei rapporti, e non solo con i docenti, ma anche con le altre figure scolastiche: compagni, personale ATA, dirigenza. Come se il ‘liberi tutti’ avesse scatenato pulsioni represse e fatto emergere il rimosso di relazioni interrotte. Fare lezione è così risultato estremamente faticoso, non solo in termini di trasmissione di contenuti e competenze, quanto nel ripristinare un ordine e una modalità di approccio alla scuola minimamente consapevole e fecondo per l’apprendimento”.
Sono moltissimi gli alunni che si sono trovati in difficoltà: “La platea delle classi ha mostrato un aumento di casi di alunni con problemi gravi caratterizzati da condotte turbolente, pericolose e indisciplinate e scarsa capacità di concentrazione. E questo non si verifica, come in precedenza, nei contesti ‘fragili’ già segnati da dispersione scolastica, ma in situazioni, per così dire, privilegiate. Impreparati, dunque, all’emergenza, i docenti si trovano a gestire studenti ‘borderline’, talvolta da ospedalizzazione, per i quali si renderebbe necessaria una rete di supporto che spesso è carente”.
Le due insegnanti si sono scagliate contro chi non comprende queste difficoltà: “Se aiuti incisivi mancano, è forse perché ci si culla ancora nell’immagine idealizzata del docente-accudente che con la comprensione può risolvere tutto. Ma non è così; ben altri dovrebbero essere gli strumenti da mettere in campo per il contenimento del disagio. La necessità di un insegnamento altamente individualizzato, suggerito dall’esperto ospedaliero, risulti impraticabile perché è impossibile l’affiancamento quasi esclusivo del docente all’alunno in difficoltà, nel contesto di classi di 30 persone che non sono certo robot da disattivare con un click”.
“È da decenni che numerose ricerche descrivono la professione docente come una delle più debilitanti dal punto di vista della salute fisica e mentale. Se la pandemia ha messo tra parentesi le questioni di salute per l’impossibilità di farvi fronte nell’immediato, è pur vero che il disagio dei docenti è aumentato quando è stato chiesto loro di gestire ed inventare un nuovo modo di fare scuola per evitare che l’isolamento dei giovani si trasformasse in un disastro culturale e sociale. Il rientro, di conseguenza, è stato segnato da un vero e proprio esaurimento emotivo dei docenti”, rincarano la dose le insegnanti.
Cosa si potrebbe fare in merito? “Il Ministero, nella fase dell’emergenza, si è concentrato su questioni come l’uso delle mascherine, i banchi a rotelle, le finestre aperte, la fragilità dei ragazzi, la trasformazione dell’Esame di Stato, mentre delle condizioni di lavoro dei docenti si è interessato poco o nulla, fatta eccezione per la priorità nella somministrazione dei vaccini o, in tempi recentissimi, del rinnovo (dopo tre anni) del contratto di lavoro con l’indicazione, ben propagandata, dei lauti arretrati (tutti dovuti), che ha fatto pensare ai docenti come a dei veri e propri privilegiati. Azione poco accorta e lesiva, ancora una volta, dell’immagine dell’insegnante, consegnata allo stereotipo del lavoratore part-time con stipendio ben al di sopra dell’impegno e delle competenze effettive. Alla luce di tutto ciò, si potrebbe, almeno in prima battuta, attuare un semplice provvedimento, come segno della effettiva considerazione delle difficoltà emerse: ridurre il numero di studenti per classe per lenire il carico emotivo degli insegnanti e favorire una virtuosa prassi didattica e relazionale”, hanno concluso le docenti.
Lo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara proprio oggi ha parlato di classi ridotte, addirittura composte da soli 10 alunni. Sarà davvero la fine delle classi pollaio?
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