Il 5 maggio del 1821 a Sant’Elena, una sperduta isola nell’Atlantico dove gli inglesi, vincitori a Waterloo, lo avevano relegato, moriva Napoleone Bonaparte: da solo.
Alessandro Manzoni, come è noto, lo ricorda appena saputa la notizia con la famosa poesia. Letizia Ramolino, sua madre, ovvero “Madame Mère”, lo seppe da un misterioso messaggero mentre si trovava a Roma. E ne rimase sconvolta.
Con la sua scomparsa parve sgretolarsi un mito, un genio della politica e dell’arte militare che di sé e delle sue gesta aveva incendiato un quarto di Secolo e l’intera Europa. Ludwig van Beethoven, scrivendo la sua Terza sinfonia, non pensava alle trame e agli odi che aveva innescato, ma alle tempeste “eroiche” che egli aveva scatenato in Europa.
Nel bicentenario della morte di Napoleone, che tante speranze aveva suscito nella gioventù rivoluzionaria del tempo, molta della storiografia ama ricordarlo a Sant’Elena, affranto, seduto presso le onde che si frangono sulla scogliera, e in attesa dell’ultimo vascello verso gli Elisi, mentre in un angolo del suo estremo esilio appare il fragile e tenero sentimento per la giovane Betsy Balcombe, l’ultimo approdo d’affetto nell’ultima isola sperduta nell’Oceano immenso.
Di tutte le persone che aveva amato forse le uniche a soffrirne furono, oltre a questa ragazza, l’amante fedele e romantica Maria Walewska, appassionata dell’uomo straordinario e forte, e “Madame Mère”, Letizia Ramolino Bonaparte, la donna che aveva pure segnato la vita del figlio “Nabulio”.
Era stata lei, coraggiosa e determinata, a dirige il frastagliato, ambizioso, avido di potere clan corso che l’aveva seguito, approfittando delle sue glorie, per trarne tutti i benefici possibili. Non mancando magari di tradirlo, subito dopo l’esilio, come la sorella Carolina, spergiura, già vedova di Gioacchino Murat.
Più in là, eterea, più che “etera”, Paolina Borghese, le cui nude bellezze Canova mostrò al mondo, mentre l’amore della sua vita, la creola Giuseppina de Beauharnais, abbandonata per prendere in moglie Maria Luisa d’Asburgo che gli diede l’agognato erede, era già morta nel 1814.
Leonardo Sciascia, in una nota intitolata “Troppo presto, troppo tardi”, scrive che se Napoleone non fosse nato il 15 agosto del 1769 non sarebbe diventato il grande Napoleone, l’imperatore dei francesi. Anche alcuni storici, avvitandosi sul “se”, dissertano sul fatto che se la cavalleria del generale Blucher avesse ritardato o non avesse incontrato un pastorello che gli indicava la strada per Waterloo, o se ancora il vulcano Tambora, dell’arcipelago della Sonda, non fosse esploso, provocando mutazioni climatiche, Napoleone avrebbe vinto la battaglia di quel 18 Giugno 1815 e la storia d’Europa avrebbe preso un’altra strada. Il destino spesso si impenna e imprime strade altrimenti precluse, e infatti sull’uomo del destino, su Napoleone Bonaparte, si disserta ancora.
Dalle battaglie ai rapporti, spesso tumultuosi, coi i vari personaggi che intrecciarono la propria vita con questo genio militare, ma anche politico, precursore di una legislazione che ancora per molte parti continua a informare di sé l’intera Europa.
Ma prima ancora i controversi rapporti con il partito corso di Pasquale Paoli e la fuga a Marsiglia, i suoi intrecci con gli ambienti giacobini fino all’espugnazione di Tolosa; dalle campagne d’Italia alla battaglia delle Piramidi, alla crisi del “direttorio”, al colpo di stato e al Consolato, grazie alla fedeltà dell’esercito. E da qui iniziano, non solo il periodo di pace nella Francia postrivoluzionaria, ma anche gli anni delle grandi riforme per rafforzare il potere esecutivo, con l’istituzione del Consiglio di stato e di una nuova tecnica amministrativa, mentre prendono corpo i prefetti e il Codice, quello che fece infuriare Foscolo, mentre si afferma uno Stato che poggia le sue basi su un modello assieme accentrato e decentrato in tutto i corpi della nazione e in tutti gli stati napoleonici.
Ma non solo, per la prima volta si apre la carriera ai talenti, selezionandoli, e nascono le grandi scuole per formare l’élite intellettuale e burocratica. Innovatore della politica, fu strumento della trasformazione sociale e spirituale d’Europa, ma anche stratega che portò la Francia da nazione in difesa a guerriera, conquistando 30 Stati, cosicchè, alla vigilia del disastro di Russia, il suo risultava un impero immenso.
Tuttavia, quello che doveva essere il maggiore trionfo di “N”, il matrimonio con Maria Luisa d’Asburgo, fu pure l’inizio della decadenza, perché riconobbe implicitamente la proprio inferiorità rispetto a quello che è stato da sempre un grande e riconosciuto Impero, così come gli fece rilevare Metternich che lo esortava, dopo la sconfitta di Lipsia, a diventare un sovrano come gli altri.
Non lo ascoltò e fu l’esilio all’Elba, e poi la prigionia a Sant’Elena dove visse di ricordi, di sospiri in attesa di fantasmi in forma di velieri che lo riportassero ai fasti che gli erano stati tolti.
Da quel confino del mare si strugge, lui uomo di azione (in principio fu l’azione, gli aveva suggerito l’amato Goethe) e del fulmine (come scrisse Manzoni), resta nella gabbia dell’ozio. Solo sullo scoglio, ora un’unica tenera consolazione sboccia negli occhi della giovane Betsy Balcombe, mentre i suoi sospiri si confondono con la risacca buia e paurosa dell’Oceano.
Duecento anni fa, come oggi, il suo ultimo respiro si confuse col perenne e indifferente frangersi delle onde su quegli scogli lontani.
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