I lettori ci scrivono

È davvero iniqua l’esclusione degli IdR dalle procedure straordinarie?

Carmelo Mirisola ha di recente lamentato “il paradosso… evidente”, “la differenza di trattamento riservata agli insegnanti di religione”, “la continua esclusione dalle procedure straordinarie e/o semplificate riservate ai colleghi di altre discipline”, la “discriminazione non… più sostenibile… lesiva della dignità professionale di questi insegnanti”.

Sentita una campana, bisognerebbe magari sentire pure l’altra: come mai nelle commissioni, in Parlamento e al Ministero si compiono simili presunte nequizie?

Sospetto che colà si ragioni seguendo la saggezza antica: la giustizia consiste nel trattare in modo eguale gli eguali ma in modo ineguale gli ineguali. E l’insegnante di religione non è affatto uguale agli altri.

Per legge viene formato, valutato e incaricato dalle autorità ecclesiastiche allo scopo di fornire un insegnamento confessionale conforme alla dottrina della Chiesa, alla quale deve attenersi persino nella vita privata, pena la revoca dell’idoneità. Si può ragionevolmente dubitare che ciò rientri “a tutti gli effetti nelle finalità della scuola”. Infatti tale insegnamento è facoltativo e non valutativo, talché si ritiene che lo studente possa benissimo conseguire le finalità scolastiche anche facendone a meno.  

Prima dell’approvazione della legge 186 del 2003 tutti i docenti di religione si trovavano in “una situazione di precariato strutturale”. Quanti sceglievano questo lavoro lo sapevano benissimo.

Con quella legge invece si è ingenerata l’aspettativa che anche loro possano diventare docenti di ruolo superando un apposito concorso. Un concorso molto sui generis, però, e molto pro forma: mentre tutti i docenti di tutte le altre classi di concorso vengono esaminati sulle materie di pertinenza, nelle quali devono dimostrare conoscenze e competenze, l’aspirante docente di religione non viene valutato nel merito. È la diocesi a garantire la sua preparazione specialistica. Si direbbe una legge fatta a bella posta per stabilizzare tali docenti nel rispetto meramente formale dell’art. 97 della Costituzione ma nell’ossequio sostanziale del Concordato e dell’Accordo di Villa Madama col Vaticano.

Tuttavia ai docenti di religione non va a genio neppure questo concorso burla tutto per loro. Lo si è tenuto una solta volta nel 2004 (forse non senza motivo) ma loro per primi ne paventano la minacciata riedizione.

Oggi reclamano un “concorso straordinario per titoli e servizio” oppure “una prova orale didattico-metodologia”. È vero che i docenti precari delle altre discipline hanno spesso beneficiato di concorsi straordinari, ma lo Stato li aveva ripetutamente incaricati, riconoscendoli in certo modo idonei e indispensabili al normale svolgimento dell’attività scolastica.

Poiché invece i docenti di religione cattolica, disciplina del tutto superflua, vengono dichiarati idonei e incaricati dall’ordinario diocesano, perché non chiedono l’assunzione a tempo indeterminato direttamente al proprio vescovo?

Andrea Atzeni

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