In Italia, la politica è sempre stata interessata al mondo della scuola. Calcolando, sulla base dei dati del Miur, che tutto il personale docente, gli Ata e i dirigenti scolastici raggiungono la ragguardevole cifra di circa 900mila persone, si può ben capire che ai partiti politici questi numeri fanno gola.
Se poi ad ognuna di queste unità si aggiungono i familiari, gli amici e i conoscenti la somma complessiva potrebbe anche triplicare, raggiungendo perfino qualche milione. Ricordiamo, per avere un termine di paragone, che Scelta Civica di Mario Monti alle elezioni del 2013 con 2.823.842 di voti ottenne 37 deputati.
È vero che il sistema elettorale si basava sulle coalizioni e sul premio di maggioranza, ma in ultima analisi se tutto il personale della scuola si unisse in un “blocco dell’istruzione” potrebbe formare un partito del circa 6% con una robusta rappresentanza al Parlamento. E invece, da un lato deve centellinare le promesse sparpagliate negli ultimi venti dai vari Governi, e dall’altro sperare che esse vengano mantenute, mentre ad ogni giro elettorale sembra si faccia a gara a chi la promette più grossa.
Chi ricorda le tre “I” di Berlusconi e le lacrime del ministro per gli stipendi da fame del personale? E poi gli spergiuri sull’adeguamento dei salari alla media europea, le scuole belle e sicure, l’azzeramento del precariato, i concorsi a scadenza biennale, gli investimenti sui prof e gli interventi sugli studenti, il rilancio dell’autonomia scolastica: e invece?
E invece Matteo Renzi, per esempio, in tandem con la già ministra Stefania Giannini hanno per lo più disatteso, con la legge 107 della “Buona scuola”, ciò che doveva essere la scuola delle “meraviglie” a livello di flessibilità organizzativa e didattica, di nuove assunzioni e modalità di reclutamento, di aggiornamento professionale compresi i milioni di euro in dote alle scuole.
La promessa principale era sicuramente quella di preparare al meglio i giovani attraverso più incisivi obiettivi formativi, insegnamenti opzionali, attività educative, ricreative, culturali, artistiche, sportive puntando anche sull’alternanza scuola lavoro con ben 100 milioni di euro insieme alla didattica laboratoriale.
Se per certi versi alcuni traguardi sono stati raggiunti, come il piano straordinario delle assunzioni, i fondi in parte erogati alle scuole, compreso il bonus di 500 euro per la formazione dei prof, molta strada deve essere ancora percorsa, mentre all’orizzonte il Movimento 5 Stelle, per bocca di Luigi Di Maio, già declama la promessa di azzerare, se sarà il nuovo premier, la legge 107, così come il neo partito di Pierluigi Bersani, quello di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini e perfino quello del sempre arzillo Silvio Berlusconi.
In altre parole, sui mugugni e le insoddisfazioni dei prof tutti gli schieramenti sono pronti a offrire spalle larghe su cui accogliere le lamentele e gli smarrimenti professionali, ma prima delle elezioni per poi scordarsene o trovare mille cavilli per giustificare le amnesie, i mancati appuntamenti, i disorientamenti legislativi aprendo portoni sempre più grandi alla giustizia amministrativa che deve correggere e intervenire perfino sugli algoritmi tecnologici che sballottolano valigie in giro per l’Italia.
E se le statistiche dicono pure che i ministri dell’Istruzione, dalla fondazione della Repubblica ad oggi, sono durati in media un anno e mezzo, un’altra declama che sono aumentati gli impegni burocratici per gli insegnanti, tra registri elettronici, Rav, Ptof, test, extra e perfino i comitati di valutazione, che spaccano e dividono, mentre i docenti continuano a guardare il cielo oltre le stelle fisse per capire quando questa benedetta scuola troverà pace e la serenità che merita.
Quando interverrà finalmente una riforma condivisa e quando finalmente si potrà dire che i nostri alunni sono tornati ad essere i migliori del mondo, come per decenni è successo. Perché alla fine dei conti il punto attorno a cui tutto ruota e tutto fa riferimento è proprio l’alunno, il datore di lavoro dei prof, e ben lo sa chi rischia la cattedra a causa della contrazione di iscritti.
E allora, più che attendere e vagliare, magari con attenzione spesso capziosa, le ulteriori promesse che fra poco arriveranno con la campagna elettorale ormai alle porte, sarebbe il caso che i docenti di tutta Italia si unissero, dando loro le direttive su come, sul quando e sul perché la scuola deve cambiare strada. E al più presto, non solo per formare una futura classe dirigente di tutto rispetto, ma anche per dare speranza alle famiglie e ai nostri alunni che meritano tutta l’attenzione possibile.