E dopo il “fertility day”, proponiamo al governo il “deportation day”

La campagna di sensibilizzazione per porre un freno al calo della natalità in Italia ci sembra una calata di stile se non proprio un’offesa rivolta a noi docenti assunti con il piano straordinario la “buona scuola”, sì perché se è vero che abbiamo finalmente ottenuto un posto a tempo indeterminato nella scuola Pubblica, dopo anni ed anni di dura gavetta nelle scuole delle provincia di nostra residenza, è anche vero che ci siamo ritrovati, con le carte in tavola stravolte dalla legge e con un ruolo che è un biglietto di sola andata al centro nord Italia. Un ruolo che ci è costato la famiglia. Portandoci lontano dai nostri affetti e dalle nostre famiglie.

E allora come si concilia la campagna del ministro Lorenzin, tutta improntata sui valori della famiglia, con i proclami del Miur e della Giannini che invece ci hanno costretti alla dura scelta tra disoccupazione e lavoro?

Se per svolgere l’attività di insegnamento siamo stati coattivamente spostati al nord (nonostante le cattedre disponibili al sud ci siano), lontano dai nostri mariti, fidanzati e compagni, come si può chiedere ad una donna, (sì perché l’attività di docenza è per l’80% ad appannaggio femminile) di scegliere di procreare quando la stabilità del lavoro ha reso ancora più precarie le nostre vite? Molte nostre colleghe dei nastrini rossi oggi sono state costrette a trascinarsi con sé i figli, lasciando i mariti al sud per motivi di lavoro, tra mille difficoltà.

In primis, il dramma dello stipendio: troppo pochi 1300 euro per fare fronte alle incombenze di una vita e alle nuove emergenze di affitti, utenze e viaggi per ricongiungere la famiglia e le spese previste dalla vita.

Le conseguenze psicologiche: i nostri figli sono costretti a vivere solo con uno dei due genitori, senza considerare i fatto che i nostri ragazzi vengono sradicati dalla propria comunità di appartenenza per finire in luoghi sconosciuti per finire in strutture costose e spesso non adeguate. Il Fertility day avrebbe dovuto essere un momento di apertura e confronto sulle vere necessità delle famiglie italiane, perché non basta mettere al mondo dei figli, ma è fondamentale, invece, creare soprattutto i presupposti per una vita serena per i bambini.

Quindi più che preferire le buone amicizie, come suggerisce il ministro della Salute, a quelle dei “cattivi compagni”, noi docenti deportati ricordiamo a chi ci governa, che le compagnie siano esse preferite dal governo che quelle meno apprezzate, noi, le abbiamo dovute abbandonare e proprio per questo ora chiediamo un atto di correttezza e giustizia al fine di rivedere la riforma la “buona scuola” in quelle storture che di buono non hanno proprio nulla, a partire dalla mobilità nazionale, passando per le conciliazioni e finendo all’algoritmo e alla mancanza di trasparenza delle procedure

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