“2024: fuga dal liceo classico”. È un film di fantascienza anni ‘80? Realtà, purtroppo. Le iscrizioni al liceo classico diminuiscono, per la gioia di detrattori e “riformatori”. Perché mai?
Singolare Paese il nostro: disprezza le proprie tipicità più ammirate all’estero, si fa soffiare scoperte scientifiche e tecnologiche, ignora la propria storia, considera vecchio e inutile ciò che l’ha reso unico al mondo, apprezzando invece e invidiando modelli culturali ed economici provenienti dall’estero.
Estero che dall’Italia ha imparato però moltissimo. Si pensi, ad esempio, alle tante parole latine usate in tutto il mondo, e che la maggioranza degli italiani crede inglesi (pronunciandole all’inglese anziché alla latina): sponsor, media, competitor, plus, minus, stadium, data, video, audio, alibi, bonus, super, ultra, monitor, forum, tutor e via latinizzando. Nel mondo anglosassone le lingue classiche si studiano (specie nelle costose scuole della ruling class). Il Regno Unito nel 2021 ha potenziato il latino nelle scuole pubbliche. In Germania è il latino la lingua più studiata dopo inglese e francese; in Spagna è obbligatorio nei curricoli umanistici; nell’Unione Europea c’è chi lo propone come lingua ufficiale.
Noi italiani (primogeniti della civiltà romana) lo rinneghiamo: per noi è “lingua morta”. Idem per il greco (lingua madre/sorella del latino, viva nel lessico scientifico e, soprattutto, medico).
Gli studi classici — lo scriveva anche un certo Antonio Gramsci — insegnano a comprendere la modernità comprendendone le radici più antiche. Nel liceo classico tutto è studiato in chiave critica e storica: a cominciare dalla matematica, di cui s’indaga l’origine filosofica e metodologica.
Le cause della crisi attuale del liceo classico sono pertanto da ricercare in una volontà politica precisa della nostra classe politica e dirigenziale. Volontà politica che si manifesta anzitutto nei tanti luoghi comuni, da decenni amorosamente coltivati mediante campagne di stampa e di opinione.
Primo luogo comune: il liceo classico è troppo difficile. Una inchiesta di Skuola.net dimostrava già nel 2014 che, al contrario, le scuole «che bocciano più alunni» sono gli istituti tecnici, i professionali e i licei scientifici e artistici. Tanto che 20 anni fa gli istituti tecnici si svuotavano, e i licei classici si riempivano.
Secondo stereotipo: le lingue classiche sono “morte” e non servono a nulla; inutile sprecare energie per esse; meglio dedicarsi alle discipline “STEM”. Eppure tra i maggiori scienziati della storia ci sono moltissimi italiani, completamente imbevuti di cultura classica, e da questa educati alla logica, all’analisi, alla sintesi, al ragionamento, alla libertà di pensiero, alla capacità critica.
Terzo cliché: non sono gli studi classici a render più bravi (soprattutto nelle facoltà universitarie scientifiche e tecniche) gli studenti del liceo classico, ma la loro origine da famiglie ricche e colte. Fandonia tra le fandonie, questa sciocchezza supera tutte le altre, e denota un pregiudizio classista. Specie dagli anni ‘70, infatti, il liceo classico ha elevato socialmente generazioni di studenti di ogni ceto. Oggi i migliori medici, ingegneri, insegnanti, architetti, sono figli di operai, contadini, artigiani, impiegati: sono diventati ottimi professionisti dopo aver frequentato il liceo classico, pur non discendendo da magnanimi lombi. Sarà forse proprio questo, per qualcuno “lassù”, il principale “difetto” del liceo classico? Le persone capaci di elevarsi culturalmente, di leggere e studiare qualsiasi argomento, di pensare autonomamente, devono restar poche, onde non far concorrenza ai “figli di papà” (tradizionali detentori “in esclusiva” della cultura classica)?
Fatto sta che troppe controriforme hanno sabotato e depotenziato il liceo classico: cattedre smembrate, ore d’italiano ridotte, geografia dimezzata e accorpata alla storia, scienze imposte a quattordicenni ignari di chimica e fisica. E poi “progetti” a non finire, educazione civica in tutte le materie, “PCTO”, “orientamento” e tutto quanto cali dall’alto una pedagogia di Stato decisa nei sacri palazzi dell’amministrazione statale. Geniali trovate cui se ne aggiunge un’altra: i docenti della classe A-13 (italiano, latino, greco, storia e geografia), che fino alla “riforma” Gelmini/Berlusconi passavano automaticamente, se perdenti posto, a classi di concorso meno titolate (ossia prive del greco o del latino) della propria istituzione scolastica, oggi non possono più farlo; se perdono posto, fanno le valigie e son trasferiti d’ufficio in altri licei classici, vedendo ridotte le possibilità di trovar cattedre libere. Il ministero “del Merito” penalizza dunque chi ha studiato di più, ha più titoli culturali e persino più “competenze”?
Si aggiungano le difficoltà che incontrano al ginnasio fanciulli — anche d’ottima famiglia — provenienti da scuole elementari ove hanno imparato poco di grammatica italiana e aritmetica (e quasi nulla di storia e geografia), disimparando poi quel poco nelle scuole medie. Sicché è normale leggere nei loro compiti “io capì” e “egli capii”, “io venì”, “tu venì”, ed “egli venirono”! Come è normale notare che i più non sanno collocare Roma su una carta geografica, ed ignorano persino cosa accadde nel 476, nel 1492, nel 1789, nel 1945!
C’è forse da stupirsi se questi quattordicenni si sentono terrorizzati quando, alla loro verde età, finalmente nel liceo classico li si mette a confronto con la loro sostanziale analfabetizzazione? È davvero inutile il liceo classico, ove non si considera “inutile” il saper ascoltare, parlare, scrivere correttamente e leggere un testo scritto di media complessità? Quali discipline e competenze “STEM” potrà apprendere chi non abbia prima appreso nemmeno queste basilari capacità della specie umana?
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