Il Sussidiario.it ospita un articolo che cerca di spiegare il “mistero” della differenza di valutazione fra gli esami di Sato e i dati Invalsi, in sintonia con la nota querelle secondo cui gli studenti del Sud, a fronte di risultati scarsi nei test Invalsi, eccellono nei voti agli esami di Stato.
Come mai? L’estensore dell’articolo tenta due ipotesi:
Prima ipotesi. Giova ricordare in proposito quanto rilevato anche nel rapporto italiano Pisa 2006. In quell’edizione era presente nel questionario studente una domanda nella quale si chiedeva quale fosse il voto della scuola “ufficiale” riportato dall’allievo nel periodo immediatamente precedente alla rilevazione, nella “materia” oggetto principale dell’indagine (in quel caso matematica).
Semplificando, risultava che ad un livello insufficiente di prestazione Pisa corrispondeva al Nord un voto appunto insufficiente, al Sud un bel 7. Chiamasi “dispercezione”.
Perciò, per un verso, la scuola al Sud sembra orientarsi verso percezioni della realtà delle competenze reali degli allievi utilizzando una scala tarata su valori più bassi di quelli in uso nei paesi “avanzati” cui viene sulla carta omologata. Colpa del contesto socio-culturale, prima ancora che economico? Colpa della autoindulgenza della scuola stessa che si adagia sul contesto? Forse pesa anche il maggiore ottimismo circa se stessi e la realtà circostante che sembra aleggiare là dove il sole picchia più forte.
Ciò che è ormai del tutto inaccettabile- si legge sul Sussidiario- è rimuovere questa realtà, adducendo il fatto che anche al Sud ci sono scuole che fanno il loro lavoro: ogni tanto rispunta fuori la teoria assolutoria della scuola italiana “a macchie di leopardo”. I dati sul valore aggiunto dimostrano che si tratta di una minoranza sbilanciata dal numero delle scuole che, a valore aggiunto negativo, il loro lavoro non lo fanno.
La seconda ipotesi parla invece di taroccamento volontario. La spiegazione addotta in confidenza fra colleghi parlava esplicitamente della necessità di voti alti per riuscire nei concorsi pubblici, solo possibile sbocco di lavoro per i propri allievi.
A questo punto però si impone una bel ripensamento del peso concreto di questi voti della maturità. In realtà spesso nei singoli bandi o concorsi di organizzazioni pubbliche o semipubbliche il possesso di un titolo di studio funge da garanzia di un minimo di base. Basterebbe levare peso al livello dei voti per far sì che questo fenomeno entri nel campo del folkloristico.
Si impone anche che qualcuno metta seriamente le mani sui dati Invalsi della scuola del Sud, per capire un po’ di più di questo iato territoriale che non ha pari in nessuno degli altri paesi dove si svolgono le indagini Ocse.
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