È davvero indispensabile la tecnologizzazione della didattica? O non esistono altre priorità imprescindibili per render la Scuola più accogliente e la didattica più efficace? Sono necessari i visori di realtà virtuale per far comprendere la storia? O non rischiano di trasformare lo studente in spettatore e consumatore di spettacoli, che rappresentano la storia come spettacolo? È necessaria la lavagna interattiva? O stiamo scambiando per inderogabile ciò che al massimo è utile (ma solo se sono presenti altre condizioni realmente basilari per l’interazione didattica tra adulto e discente)? Ed è poi davvero utile coltivare con l’immagine la dipendenza dei discenti dall’immagine (che comporta una sempre minore capacità di astrarre e di pensare mediante parole e concetti)?
Come purtroppo ben sappiamo, la Scuola italiana è afflitta da moltissimi, annosi problemi mai risolti. Ad esempio, quello delle classi numerose, che non calano nonostante il calo degli iscritti. Scrive FLC/CGIL nello scorso aprile: «Il limite finanziario è il principio regolatore di ogni operazione, ma l’amministrazione pare lontana anche dalla volontà di ragionare sulle risorse esistenti per avviare un progressivo miglioramento del sistema, a partire proprio dal personale. Tutto muove da logiche contabili e senza previsione di investimenti, condizioni che moltiplicano i già numerosi problemi presenti del contesto quotidiano delle scuole».
127.000 alunni in meno nell’anno scolastico che va ad iniziare: ma le classi restano pollai. Scrive Il Sole 24 Ore (quotidiano di Confindustria) a marzo: «Il paradosso è che al tempo stesso le prime classi delle scuole superiori sono affollate, con numeri che spesso raggiungono i 28-30 alunni per classe, soprattutto nelle grandi città. È anche sulla base del previsto calo demografico, insieme ai vincoli imposti dall’UE con il PNRR, il motivo per il quale la legge di Bilancio ha previsto una norma sul cosiddetto dimensionamento scolastico con un taglio calcolato di sedi e organico che avranno effetto principalmente a partire dal 2024/2025 ma che farà sentire i primi effetti già dal prossimo anno scolastico. Contro questi tagli le Regioni guidate dal centrosinistra hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale».
Come sempre da 40 anni a questa parte, sulla Scuola non si investe. Si coglie anzi ogni occasione per disinvestire. Si investe solo sulla digitalizzazione, quasi si potesse sostituire con i “device” l’intero comparto scolastico dello Stato, risolvendone magicamente ogni aporia e contraddizione. Quasi che, ad esempio, non fosse necessario ripartire dall’edilizia scolastica, dalla costruzione di scuole più numerose, più moderne, più sicure, più accoglienti. Magari con piscina, come in Francia, perché no?
Un solo risultato di questa politica è certo: il trasferimento di molti miliardi pubblici nel fatturato di multinazionali estere potentissime (spesso accusate di elusione fiscale, lobbying, collaborazione coi servizi segreti, abusi sociopolitici). E, considerando che gran parte dei miliardi investiti sono frutto di prestiti al nostro Paese, da restituire con gli interessi, dove sta l’affare?
Bisogna poi anche considerare che le attrezzature tecnologiche acquistate vanno incontro a veloce obsolescenza (programmata o meno che sia): pertanto gli investimenti dovranno crescere sempre più a dismisura. Un business assai conveniente per le multinazionali di cui sopra, ma con quali effetti per le finanze pubbliche italiane?
Se le classi sono formate da 30 alunni, l’insegnante medio — cui nel contempo vengono solitamente assegnate più classi, perché molte materie, dopo i tagli Gelmini/Berlusconi del 2008, sono insegnate per un numero minore di ore settimanali — non è messo nelle condizioni di seguire individualmente ciascun alunno: condicio sine qua non per aiutare e favorire l’interesse, la crescita, la maturazione del discente. Maturazione, crescita e interesse che possono essere favorite, invece, in una classe di 15-20 alunni, anche nella più totale assenza di ausili digitali. Il digitale è utile, ma non indispensabile come altre condizioni di base.
Altro problema: i futuri insegnanti cominciano a scarseggiare. Scrive il nostro Direttore nell’aprile 2022: «In Italia vi sono dei territori con le scuole corto di supplenti: anche le MAD sono esaurite e i dirigenti scolastici sono costretti ad attingere agli iscritti all’Università o a liberi professionisti che con il Covid-19 hanno subìto una flessione di lavoro, ma non hanno alcuna cognizione di come si insegni a dei giovani». Gente impreparata, che nulla sa di Scuola né di didattica, né di inclusione né di disabilità, né di contratto né di legislazione scolastica. Molti dei quali — per loro stessa ammissione — si buttano sull’insegnamento perché ancora convinti di una leggenda metropolitana tipica del folklore italiota: quella secondo la quale gli insegnanti lavorano poco e guadagnano bene.
Chi invece ha capito le condizioni concrete in cui un insegnante è chiamato ad operare (e a soffrire quotidianamente) per stipendi ridicoli, fa di tutto per occuparsi d’altro. Fra poco la classe docente sarà composta unicamente da persone che non trovano altro da fare nella vita? Siamo proprio sicuri che a quel punto basteranno le lavagne interattive per salvare la Scuola — e il Paese — dallo sfascio?
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