A Trento, il consiglio amministrativo dell’ateneo ha approvato il nuovo regolamento dell’Università, che sarà tutto declinato al femminile, anche se i ruoli sono ricoperti da uomini. Si tratta al momento di un evento unico nel suo genere: all’interno del documento tutte le cariche citate sono infatti declinate al femminile. Per applicare questa prescrizione è stato introdotto un apposito comma: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone” (Titolo1, art. 1, comma 5).
È un ribaltamento di quello che viene fatto di solito nella lingua italiana con il maschile sovraesteso, e cioè l’abitudine a usare il maschile plurale anche per riferirsi a gruppi misti e spesso il maschile singolare per riferirsi a certe cariche, anche quando a ricoprirle sono delle donne.
Il rettore Flavio Deflorianha commentato la decisione storica del Consiglio di Amministrazione, dichiarandocome uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne. Si tratta di un atto simbolico per dimostrare parità a partire dal linguaggio dei nostri documenti.
Nel comunicato stampa si legge: La presidente, la rettrice, la segretaria, le componenti del Nucleo di valutazione, la direttrice del Sistema bibliotecario di Ateneo, le professoresse, la candidata, la decana… Termini come questi sono citati e ripetuti più volte in riferimento a tutte le persone a prescindere dal genere.
Già dal 2017 l’università trentina aveva approvato un vademecum per un uso del “linguaggio rispettoso delle differenze” con l’obiettivo di promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana della comunità universitaria, come durante gli eventi pubblici o la produzione di testi amministrativi. All’epoca l’auspicio era che il nuovo Regolamento avrebbe dovuto essere scritto riferendosi ai gruppi di persone (studenti, docenti, eccetera) sia con il femminile che con il maschile. Poi la decisione è andata oltre questi punti di vista, fino a femminile sovraesteso.
Il dibattito sull’uso del maschile sovraesteso nei contesti pubblici è molto frequente e spesso riguarda soprattutto la definizione delle singole professioniste. La discussione sul maschile sovraesteso si inserisce nell’ampia questione dell’introduzione del linguaggio inclusivo negli atti ufficiali, verso cui la politica italiana è sempre stata respingente
Il femminile sovraesteso viene spesso proposto e usato all’interno di associazioni e movimenti femministi, quelli per i diritti delle persone LGBTQ+, ma raramente è applicato in un contesto istituzionale come quello universitario.
Il problema è meno che mai solo una questione linguistica, quanto piuttosto che alla prevalenza del maschile sul femminile nel linguaggio corrisponde una prevalenza nel pensiero, e che quindi continuare a usare il maschile sovraesteso, abitudine linguistica secolare in italiano, sia di fatto un modo per portare avanti un modo di pensare in cui le donne sono sistematicamente subordinate agli uomini.
Non manca l’opposizione, questa volta rappresentata dall’associazione studentesca Azione Universitaria che punta il dito contro la retorica vuota e paternalista che suggerisce che l’inclusione nelle università sia una questione di linguaggio.
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