Questa notte ci ha lasciato Andrea Canevaro, il grande pedagogista genovese Premio Barbiana 2010 per il contributo dato alla politica dell’inclusione scolastica, al quale il Comune di Rimini, per le stesse ragioni, conferì la cittadinanza onoraria.
Il Maestro della pedagogia speciale, professore emerito dell’Università di Bologna e studioso di prestigio internazionale, è morto dopo una breve malattia all’ospedale di Ravenna.
Per celebrare il suo slancio educativo e intellettuale lo riascoltiamo a seguire, in una delle ultime interviste del pedagogista, rilasciate proprio alla nostra redazione, per i 30 anni della Legge 104, la “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
Il nostro vice direttore, Reginaldo Palermo, nel presentarlo ai lettori della Tecnica della Scuola, lo ha definito così: “Andrea Canevaro è la storia dei processi di inclusione, il padre spirituale di diverse leggi che nel nostro Paese regolano i processi di inclusione“.
I problemi di oggi sull’inclusione? Sono dovuti a una sorta di “narcisismo frantumato” che ci ha resi sempre più individualisti facendoci dimenticare i doveri sociali e l’attenzione alla diversità. Così il pedagogista genovese, durissimo nel giudizio sulla deriva della scuola. “Ognuno pensa solo a se stesso e anche il singolo docente pensa a sé e valuta l’operato di un ministro in un certo modo se quello che fa un ministro sta bene a sé. Ognuno è narciso e frantumato”.
Tutt’altro spirito, quello della 104, spiega Canevaro: “La 104 è venuta fuori nel periodo che chiamiamo il brodo di cultura: pensiamo al concilio Vaticano II, a Don Milani… osare e rompere gli schemi erano cose importanti allora. Si poteva disobbedire assumendosi delle responsabilità. E questo comportava di potere attingere a delle esperienze che erano già messe in atto, come la scuola media unica, che evitava che ci fossero scuole di serie A e scuole di serie B”.
“Ecco, in questo contesto la 104 ha avuto la capacità di superare la didattica simultanea, che aveva come presupposto che tutti imparassero allo stesso modo e con gli stessi tempi; e che quelli che seguivano lo standard erano i normali, mentre gli altri avevano bisogno o di una diagnosi oppure, se venivano considerati svogliati e indisciplinati, significava che per loro ci voleva più severità”.
“La didattica inclusiva, insomma, è il superamento della didattica della simultaneità, che si è affermata a poco a poco e dal basso, con l’impegno e la volontà dei docenti”.
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